Le banlieue italianeMondragone e gli altri ghetti sono un problema vero

Il focolaio alla periferia di Caserta, così come quello all’interno della ditta Bartolini, non dovrebbero essere una sorpresa: da anni gli stranieri sono i più affetti dalla povertà e quelli che vivono nelle condizioni peggiori. Ma continuiamo pure a nascondere la polvere sotto al tappeto

Filippo MONTEFORTE / AFP

L’Italia è storicamente il paese dove la polvere si nasconde sotto il tappeto. Problemi e inefficienze si incancreniscono fino a trasformarsi in una mala gestione strutturale, mentre l’indifferenza da parte della politica e dell’opinione pubblica dilaga. E così le vere emergenze restano dimenticate, mentre si guarda con urgenza a temi che sono in realtà tutto fuorché prioritari.

Le condizioni di vita degli immigrati, ad esempio, sono uno dei problemi a cui si guarda meno in assoluto. Si tratta di un argomento scomodo e impopolare per quasi tutte le fazioni, e infatti, lì sotto il tappeto, è uno dei nugoli di polvere più consistenti. Puntualmente, però, qualcosa arriva a scuotere il tappeto.

L’emergenza coronavirus è uno di questi eventi. Il focolaio tra i bulgari di Mondragone è stato paradigmatico, e anche quello tra i lavoratori di Bartolini ci si avvicina parecchio, considerando che il magazzinaggio è tra i settori in cui gli stranieri sono maggiormente impiegati, almeno al Nord. La premessa è d’obbligo: se qualcuno pensasse che da noi i ghetti non esistano, o addirittura che gli stranieri stiano meglio di noi (“loro negli hotel, gli italiani nelle tende”), chiariamo subito, non è così.

Negli scorsi anni di fragile e disuguale ripresa dopo la crisi del 2009-2013, il rischio di povertà (inteso dagli statistici come il possesso di un reddito disponibile inferiore al 60% del reddito mediano disponibile in un Paese) è cresciuto solo per gli extracomunitari. Dopo aver toccato un picco del 36,5% nel 2016, nel 2018 si è assestato al 35,9%. Nel 2009 era il 28,9%.

Per gli italiani, invece, è sempre stato intorno al 17%.

In altre parole, è cresciuta la differenza tra italiani e stranieri, a svantaggio di questi ultimi, per i quali il rischio di povertà nel 2018 era il 18,5% più alto rispetto ai nostri connazionali. Nel 2009, il divario era del 12,5%.

Dati Eurostat

Si tratta di un divario che ci pone al di sopra della media europea. E questo è soprattutto vero se parliamo di stranieri comunitari. A differenza di paesi come la Germania, che spesso fra i suoi migranti riceve italiani, spagnoli e francesi con alto titolo di studio, e ai quali offre condizioni di vita analoghe ai tedeschi, infatti, nel nostro caso l’immigrazione è fatta soprattutto di rumeni o bulgari arrivati nell’arco di trent’anni e finiti a lavorare in mansioni che sono rimaste tra quelle pagate peggio.

Dati Eurostat

Non è un caso che a essere cresciuto e a essere più alto proprio tra gli immigrati sia anche il cosiddetto rischio di povertà “in work”, cioè quello di chi si ritrova sotto la soglia di rischio nonostante abbia un lavoro, a tempo pieno o parziale che sia.

Si tratta di un indicatore rilevante, considerando che il tasso di occupazione tra gli stranieri in Italia è addirittura superiore a quello degli italiani.

Il divario per povertà “in work” tra italiani e stranieri è infatti tra i più significativi in Europa: pari al 9,7% per gli uni nel 2018, per gli altri il 29,6%. Peraltro in crescita negli anni: nel 2009 era del 15,9%. Mentre un aggravamento simile si è vissuto in Spagna, in paesi come la Germania e la Francia il divario si è ridotto.

Dati Eurostat

Nonostante si parli tanto delle banlieue francesi, per esempio, la povertà e la disuguaglianza hanno colpito gli stranieri più nel nostro Paese che Oltralpe. E questo è successo pure in un periodo di ripresa dell’economia e dell’occupazione.

La crescita occupazionale si è rivelata essere quindi poco omogenea, avendo interessato soprattutto gli italiani, mentre non ha inciso o addirittura ha peggiorato la precarietà e lo sfruttamento degli stranieri.

E a dimostrarlo vi sono anche i dati sul sovraffollamento nelle abitazioni, che non a caso sono uno dei tanti indicatori di disagio sociale, alla luce di quanto accaduto a Mondragone o anche tra i lavoratori del macello nel Nordreno-Westfalia.

Questo è l’indicatore che tratta quanti, in percentuale sul totale, devono vivere in una casa in cui non c’è una stanza per nucleo familiare, o una stanza da letto per coppia, o una ogni due bambini sotto i dodici anni, insomma in una abitazione troppo piccola per garantire la privacy o condizioni igieniche adeguate.

Ebbene, l’Italia è il Paese in cui il tasso di sovraffollamento è il più alto per gli stranieri comunitari (come i bulgari di Mondragone, appunto), il 37,7% dei quali vive in condizioni subottimali, più che in Grecia o in altri Paesi dell’Est Europa, al terzo posto nella classifica degli extracomunitari, e ai livelli dell’Est Europa anche nel caso degli stessi italiani.

Le camerate in comune, le case affittate da più famiglie costrette a vivere insieme, non sono una realtà di qualche film neorealista del Dopoguerra, ma la realtà che molti non vogliono vedere. Si preferisce pensare che solo gli italiani abbiano il diritto di essere poveri.

E però non ci conviene ignorare questi dati, il Covid lo dimostra. Abbiamo avuto la fortuna che il contagio in Italia sia approdato e abbia colpito nelle aree più sviluppate economicamente. Non sappiamo se ci sarà una seconda ondata, forse stiamo andando incontro a uno stillicidio di focolai in zone circoscritte, ma questi scoppieranno questa volta un po’ dappertutto, perciò dobbiamo stare più attenti a quei luoghi dove il degrado è una realtà già da tempo.

Senza contare che, al netto del Covid, le banlieue italiane stanno comunque crescendo. Sarà meglio aprire gli occhi.

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