Il nuovo accordo per i diritti tv della Bundesliga è un segnale d’allarme per tutti i grandi campionati europei, Serie A compresa. Dopo aver fatto da apripista per la ripartenza del calcio, la prima divisione tedesca si conferma pioniera anche sui nuovi contratti televisivi. Ma in questo caso i toni sono meno entusiastici.
La vendita dei diritti di trasmissione nazionale, la prima dopo l’emergenza coronavirus, porterà nelle casse della Bundesliga tra i 4,3 e i 4,4 miliardi di euro nel quadriennio 2021-2025. Un calo di circa il 5 per cento rispetto all’ultimo accordo, che arrivava a 4,64 miliardi e aveva significato, nel 2017, una crescita dell’85 per cento rispetto al contratto precedente: è la prima volta dal 2002 che in Germania il valore dei diritti tv non aumenta, segnando l’inversione di un trend di crescita che sembrava infinito.
In assoluto la diminuzione di 200 o 300 milioni non è così preoccupante da far crollare il sistema calcio tedesco, e nemmeno tale da mandare in fallimento mezzo campionato. Ma è un messaggio per chi dovrà firmare i nuovi accordi: probabilmente saranno rivisti al ribasso, con conseguenze tutte da esplorare per le società. Si è salvata la Ligue 1 francese, che aveva rinnovato i contratti poco prima del coronavirus firmando a cifre più alte della Bundesliga, nonostante il campionato transalpino non abbia l’appeal né la dimensione economica di quello tedesco.
L’amministratore delegato della Federazione tedesca, Christian Seifert, ha dichiarato che «è una situazione insolita che costringerà a rivedere al ribasso l’intera economia calcistica», dai bilanci delle società ai contratti dei calciatori, fino alle commissioni per gli agenti.
I fattori che potrebbero aver portato a un contenimento delle cifre – la crisi che ha coinvolto anche i broadcaster, la riprogrammazione del campionato in corso e la minor propensione al rischio in una fase di decrescita – potrebbe danneggiare particolarmente la nostra Serie A, dove i diritti tv hanno un impatto molto alto sui bilanci dei club, in particolare per i meno ricchi.
Per le società italiane gli accordi per la trasmissione delle partite pesano mediamente per il 55 per cento dei bilanci. L’Inter è la più virtuosa: la sua economia dipende solo al 37 per cento dai diritti tv; 44 per la Juventus, 48 per il Milan. Per il resto, anche club strutturati o sportivamente solidi sono “dipendenti” dai soldi delle pay-tv, come Roma (59 per cento), Atalanta (63) e Napoli (69).
Si spiega anche così il braccio di ferro della Lega Serie A con Sky per il pagamento dell’ultima rata dei diritti di questa stagione: i club italiani non vogliono, forse non possono, accettare che il prossimo accordo li costringa a un ridimensionamento sostanziale rispetto agli altri club europei.
Nell’ultimo report “Annual Review of Football Finance 2020”, pubblicato a inizio giugno, Deloitte individuava nell’aumento di investimenti dall’estero una possibile direttrice di sviluppo per il calcio italiano. Da questo punto di vista la Serie A ha ancora un discreto margine di crescita rispetto alle altre grandi leghe europee: al momento i diritti tv fuori dall’Italia sono venduti a circa un quarto del prezzo di quelli di Premier League e Liga Spagnola.
Non è escluso che la Lega Serie A possa aprirsi a investimenti da parte di fondi stranieri privati – si parla di Cvc Capital Partners, Advent International, Jp Morgan, Blackstone e altri – ma al momento non ci sono ancora offerte ufficiali sul tavolo.
Il nuovo mercato dei diritti televisivi, condizionato dalla pandemia e dalla crisi economica potrebbe essere anche un’occasione per spingere le società ad avere bilanci più virtuosi, con entrate diversificate e una maggiore sostenibilità delle politiche di spesa. Magari in questo modo si potrà arrivare preparati alla prossima emergenza.