Appunti per CasalinoCome andarono gli Stati generali, quelli veri

Il 5 maggio del 1789 segnò l’inizio di qualcosa che nessuno poteva immaginare. Il re voleva aprire un dialogo tra classi sociali, con l’idea di risolvere la crisi politica e sociale della Francia. Poche settimane dopo, con il “Giuramento della pallacorda” ci fu la rottura definitiva, la Rivoluzione era alle porte

Jacques-Louis David, Il giuramento della Pallacorda / Flickr

All’apertura degli sfarzosi Stati generali del 1789, Luigi XVI pronunciò un discorso abbastanza breve pur nella sua solennità che non passò alla Storia malgrado ce ne fossero tutte le condizioni. Il 5 maggio 1789, lo sapevano tutti, sarebbe stata comunque una grande giornata, l’inizio di qualcosa che però nessuno immaginava e che alla fine si rivelò molto diverso da tutte le previsioni.

Eppure il sovrano pensava ancora che in un modo o nell’altro tutto potesse risolversi, comporsi. «La cerimonia inaugurale – scrive il grande storico Jonathan Israel nella monumentale “La Rivoluzione francese” (Einaudi, 2015, pag. 60), forse la migliore opera storiografica su quegli avvenimenti – dal notevole impatto scenografico, si svolse di per sé senza intoppi, fatta eccezione per un momento di confusione e di sconcerto quando ai nobili il re concesse di rimettersi il cappello in sua presenza e i rappresentanti del Terzo Stato fecero lentamente lo stesso. Si sollevarono delle grida di protesta ma nel complesso fu un evento magnifico: il re e la regina erano sfavillanti, mai la monarchia era sembrata più grandiosa, e il sovrano tenne un discorso solenne, esponendo per sommi capi la difficile situazione finanziaria del regno».

La questione del cappello era emblematica: si pretendeva che il Terzo Stato rimanesse a capo scoperto, in segno di “minorità”. Quando i borghesi protestarono, Luigi, per calmarli, si tolse il suo grande cappello facendo finta di avere caldo, rimanendo a capo scoperto anch’egli.

La “regia” dell’avvenimento, in uno dei più grandi saloni della meravigliosa reggia di Versailles raggiunta in corteo dagli 800 partecipanti, era definita nei minimi dettagli in grande continuità estetica con i precedenti Stati generali tenutisi un secolo prima.

Il marchese Dreux de Brézé, Gran Maestro delle Cerimonie, riprese un’ordinanza del 1614 e impose regole di abbigliamento che dovevano essere seguite da ogni deputato per manifestare in modo chiaro le differenze gerarchiche.

E così, ai rappresentanti dei più alti livelli del clero erano assegnati gli abiti ecclesiastici più sontuosi, come la seta rossa per i cardinali, offrendo un’immagine ben distinta dalla semplice tonaca di stoffa nera prevista per i parroci; al Secondo Stato spettavano abiti sontuosi, marsina e sottomarsina di seta nera o panno per l’inverno, decorazioni con galloni d’oro, culottes di seta nera e mantello coordinato. Calze bianche, cravatta di pizzo, spada e tricorno con piume.

E infine al Terzo Stato, composto dalla metà dei deputati, venne imposto di vestire in “maniera semplice” con un abito di panno nero, calze nere, mantello corto di seta nera (come quello usato dagli avvocati), cravatta di mussola in tinta unita e tricorno.

L’ordine del giorno era di carattere economico, cioè l’esame delle disastrate finanze della Francia di fine Settecento, anche se a nessuno sfuggiva che dietro le lamentele e le richieste della borghesia si stagliavano ben vive le rivendicazioni di carattere politico. Luigi XVI e la sua corte non afferrarono pienamente il nesso fra i due aspetti. Così che dopo il sovrano prende la parola il guardasigilli Barentin che – scrivono François Furet e Denis Richet nella famosa Rivoluzione francese (Laterza, 1986, vol. I, pag. 77) – «parla così a bassa voce che nessuno lo sente».

Ma dopo parla Necker, il ministro delle finanze, con un discorso così lungo che ne fa leggere alcune parti al suo vice, «un’esposizione tecnica di tre ore che confessa soltanto 56 milioni di deficit e propone un prestito di 80 milioni».

Nulla di politico, come si vede. E il Terzo Stato comincia a capire che bisognerà forzare la situazione. Scrisse il grande storico Georges Lefebvre (“L’Ottantanove”, Einaudi, 1975, pag.73): «Il Terzo Stato uscì stanco e deluso. Malouet (un rappresentante della borghesia, ndr) non mancò di far presente a Necker che la passività del suo governo avrebbe rovinato tutto; il ministro, sentendo scossa la sua posizione, si sentiva più impotente che mai». E infatti venne destituito qualche giorno dopo.

Le sedute andarono avanti per giorni in quello che oggi si definirebbe un dialogo fra sordi. Luigi approfittava delle lungaggini per andare a caccia nel gigantesco parco di Versailles, mentre nel Terzo Stato che ormai si riuniva da solo nella grande Sala del re, prevalgano le istanze più democratiche e costituzionali.

Fino al 17 giugno, quando esso si autoproclamò “Assemblea nazionale”, molto nobili scapparono, altri chiamarono in soccorso l’esercito regio, e il 20 i deputati – scrisse Thomas Jefferson, allora ambasciatore americano a Parigi – «trovarono le porte sprangate». Era la rottura, culminata col famoso “Giuramento della Pallacorda”. La Rivoluzione era in marcia.

Un cronista eccezionale di quel tempo, Chateaubriand, si trovò a Versailles qualche settimana dopo, quando «la Corte ora cedeva ora voleva resistere, alternando testardaggine e debolezza, smargiasseria e paura»: un mutare atteggiamento tipico dei governanti quando sentono di poter perdere il potere (e ogni riferimento all’attualità non è casuale).

Ed ecco che il grande scrittore bretone vede passare la regina Maria Antonietta, a suo modo una gran donna malgrado la Storia le abbia appiccicato per l’eternità cattiva fama, che gli sorride: «Non dimenticherò mai quello sguardo che doveva spegnersi così presto – scrive con la consueta potenza Chateaubriand nelle sue “Memorie d’Oltretomba” (Millenni Einaudi, 1995, vol. I, pag. 151) – Maria Antonietta, sorridendo, disegnò così bene la forma della sua bocca che il ricordo di quel sorriso (spaventoso a dirsi!) mi permise di riconoscere la mascella della figlia del re, quando la testa della sventurata fu rinvenuta durante le riesumazioni del 1815».