«La nuova app “Feel Florence” del comune di Firenze avviserà il turista con segnali di differenti colori in base all’affollamento delle aree della città. Lavoravamo sul decentramento dei flussi turistici anche prima del coronavirus, adesso sarà una misura in più per il distanziamento sociale». L’assessore al Turismo del comune di Firenze, Cecilia Del Re, spiega la strategia messa in campo dalla città per far ripartire uno dei settori più colpiti dall’emergenza.
Come tutte le città d’arte che devono molto al turismo, anche Firenze è stata pesantemente colpita dalla crisi: qualche settimana fa l’assessore al Bilancio Federico Gianassi a Linkiesta aveva parlato di un buco di «circa 200 milioni di euro su un bilancio di 630 milioni».
Far ripartire l’intera macchina organizzativa turistica è indispensabile. Per garantire la sicurezza e il distanziamento tra i visitatori sarà importante organizzare i flussi di persone: quindi fare di necessità virtù con la nuova app. «Può capitare che al Duomo – spiega l’assessore Del Re – ci sia una fila lunghissima, e a piazza della Santissima Annunziata, bellissima, a 300 metri i flussi non arrivano. Allora l’app serve per promuovere indirettamente quella zona. Anche in funzione di distanziamento sociale».
Firenze ha raccolto la sfida del coronavirus al turismo e ne ha fatto un’opportunità di aggiornamento. Il suo è un caso particolare ma non è l’eccezione. In tutta Italia il settore turistico dovrà affrontare un’estate difficile, unica per certi versi: da un lato c’è la necessità di intervenire nell’immediato per tamponare una situazione che stima perdite del 9 per cento del Pil; dall’altro l’emergenza offre l’opportunità di cambiare il modello di sostenibilità di un business che presentava già qualche crepa.
Per l’Italia il turismo è il 13 per cento del Pil e ripartire – seppur non a pieno regime – è necessario. La riapertura dei confini è stata la prima notizia positiva da diverso tempo, stando all’analisi dell’Agenzia Nazionale del turismo (Enit): «L’Italia non spaventa più – fanno sapere dall’Enit – viene considerata covid free, un Paese iper monitorato e rassicurante. A fine maggio si contavano oltre 753mila citazioni sul viaggio in Italia, di cui 50mila sul web e 703,7 mila dai social».
È probabile che il turismo internazionale non scenda a zero come nelle stime della fase 1. Ma è troppo presto per immaginare scenari positivi: le prenotazioni sono ancora piuttosto scarse e l’Enit prevede un calo di 56 milioni di pernottamenti in meno rispetto al 2019, per una perdita di circa 3,2 miliardi di euro.
Il ruolo più importante, nelle prossime settimane, sarà quello degli spostamenti interni degli italiani, come spiega Roberta Guaineri, assessore al Turismo di Milano: «C’è una generazione che noi chiamiamo “low cost”, giovani che hanno avuto molte occasioni di viaggiare lontano, adesso possiamo invogliarli a muoversi in un raggio più breve. Quello di quest’estate sarà un turismo di prossimità».
Va in questa direzione il progetto che il comune di Milano sta sviluppando con le vicine città di Brescia, Mantova, Cremona. «Sono campagne promozionali per incentivare un turismo più local alla scoperta dei nostri territori. Anche perché per i comuni non avere turismo sarebbe una perdita insostenibile», spiega l’assessore Guaineri.
Per favorire il turismo sul territorio nazionale il governo ha previsto un bonus vacanze da 500 euro: è destinato alle famiglie con reddito Isee fino a 40mila euro, spendibile in Italia da luglio al 31 dicembre tramite app, in alberghi, agriturismi, bed&breakfast e altre strutture autorizzate.
Misure ancora insufficienti, secondo Cecilia Del Re: «È molto poco. Nel decreto Cura Italia non sono arrivati aiuti al turismo, nel decreto Rilancio pochissimo. Il turismo è il settore che per primo è entrato in crisi e che per ultimo è stato aiutato».
L’attenzione, però, non è solo sui comuni. Il calo di turismo impatterà pesantemente anche sulle aziende, fa notare la presidente di Federturismo Marina Lalli, che ha partecipato agli Stati generali a Villa Pamphilj: «Sembra che il governo abbia un’attenzione particolare per il turismo, ma bisogna trovare una soluzione in fretta perché i tempi sono strettissimi. È un settore che di solito a febbraio è già pronto, o quasi, per l’estate. Purtroppo quest’anno l’unica cosa che possiamo fare è ragionare sul salvare le aziende, perché nella migliore delle ipotesi il fatturato sarà dimezzato rispetto all’anno precedente».
Alla riduzione della domanda turistica farà da contraltare un calo nell’offerta: «Circa il 70 per cento delle agenzie di viaggi potrebbero chiudere e un albergo su cinque potrebbe non riaprire più», spiega la presidente di Federturismo. E gli effetti si vedrebbero soprattutto a livello occupazionale: nelle strutture ricettive circa 82 mila addetti – fissi o stagionali – rimarranno senza lavoro.
È un discorso che interessa anche un settore popolato da grandi compagnie, come quello crocieristico. In questo momento il mercato è immobile: Msc e Costa hanno fermato le loro navi fino al 31 luglio l’intero settore sta dialogando con il governo per capire tempi e modalità di ripartenza. Si lavora sulla possibilità di tornare con rotte tutte italiane e con poche navi. Ma non c’è ancora nessuna certezza che si possa ripartire in estate.
L’Italia è uno dei maggiori beneficiari d’Europa per quanto riguarda il mercato crocieristico: si parla di giro d’affari da circa 15 miliardi l’anno sul territorio nazionale, su un totale di 48 miliardi in Europa. Inoltre è un settore che porta oltre 52mila posti di lavoro diretti e 120 mila se si considera l’indotto.
Da Clia Italia – Cruise Line International Association – fanno sapere a Linkiesta che «non si possono fare previsioni economiche accurate perché la situazione è ancora in evoluzione. Ma di certo il mercato crocieristico non può ripartire senza una regolamentazione chiara per tornare ad operare in tutta sicurezza».
Il vantaggio dell’intero settore turistico, a differenza di altri colpiti dalla crisi, è la sua capacità di risposta a scossoni di questo tipo. «È un settore molto flessibile, che ha già dimostrato di poter ripartire velocemente dopo la crisi del 2009 e dopo l’attentato delle Torri gemelle nel 2001», dice ancora la presidente di Federturismo Marina Lalli.
La chiave di volta della ripresa sarà dimostrare che l’Italia – città, alberghi, siti turistici – può ripartire in quanto Paese sicuro. «La nostra strategia deve puntare sulla sicurezza, sarà fondamentale dare la percezione di Italia come luogo libero dal covid, anche nei collegamenti. Per fortuna siamo già sulla buona strada, a differenza di tante altre mete turistiche esotiche l’Italia ha un sistema sanitario molto valido», conclude Lalli.
Il questo caso l’emergenza potrebbe aver accelerato un processo di trasformazione dell’offerta che era in atto già da tempo, proprio come a Firenze. Napoli, ad esempio, sta provando ad aggiornare il turismo cittadino ampliando le funzioni della card turistica digitale “Naples Pass” in funzione già da due anni. Dal 6 luglio la versione “City” della carta permetterà di muoversi gratuitamente con i mezzi pubblici e darà libertà di ingresso in alcuni musei per 48 ore.
Firenze, Milano, Napoli e tanti altri comuni stanno provando a rispondere alle nuove esigenze di un turismo che inevitabilmente viaggerà a velocità ridotte. In questo caso, però, c’è anche l’opportunità di superare dei problemi che il settore si trascinava dietro da tempo. È il caso del sovraffollamento di alcune attrazioni nella città di Firenze, o la tentazione di viaggiare in località più distanti, come ha detto l’assessore di Milano Guaineri.
L’idea è quella di distribuire i turisti in maniera più omogenea sul territorio, evitando i danni causati dall’overtourism: un problema molto presente negli ultimi anni, come insegna la storia recente di Venezia.
Tra il 1950 e il 2019, la popolazione della Serenissima è diminuita da circa 180mila a quasi 50mila abitanti, mentre il numero di visitatori annuali è passato da 1 milione a circa 30 milioni. Spesso però il turismo mordi-e-fuggi di Venezia non necessariamente garantisce un grande ritorno economico per la città, per i cittadini, per i commercianti locali. Mentre il costo, in termini di inquinamento dei mezzi di trasporto, stress per strutture e infrastrutture, e affollamento del centro è altissimo: in qualche modo, per Venezia perdere turisti potrebbe essere una virtù.
Un recente articolo del Guardian – dal titolo inequivocabile “La fine del turismo” – ricorda tra le altre cose i danni causati dal concerto dei Pink Floyd a Venezia nel 1989, con un’immagine chiarissima: «La mattina seguente la pietra di piazza San Marco era coperta da lattine, mozziconi di sigaretta e pozzanghere di urina».
Tra l’acqua alta dello scorso autunno e l’emergenza coronavirus il panorama di Venezia è cambiato molto negli ultimi mesi. I turisti sono quasi scomparsi, ma il ponte del 2 giugno, il primo di apertura, ha fatto immaginare che le cose non siano ancora cambiate per il meglio.
Il 31 maggio il quotidiano locale “La voce di Venezia” già titolava “Code di turisti per entrare in città. Lockdown è già un ricordo”: «Il turismo straniero non c’è ancora, ma lunghe colonne di veicoli sono arrivate dalla terraferma verso la città lagunare, tanto che la polizia municipale è stata costretta a chiudere per 4 ore il ponte della Libertà».
Il settore turistico, forse, è ancora lontano dal trovare risposte convincenti nell’immediato e sul lungo periodo alle nuove sfide che dovrà affrontare. Ma almeno sappiamo che qualcosa si muove.