Gli effetti del populismo industrialeIl governo sottovaluta il rischio occupazionale della revoca ad Autostrade

Non ci sono solo i 7mila lavoratori diretti in bilico, ma anche tutti quelli delle società controllate di Aspi. Togliere la concessione potrebbe produrre un effetto a catena su quasi 20mila lavoratori, dicono i sindacati. «Non dovranno essere i lavoratori a pagare né lo scontro politico né gli errori del management»

FILIPPO MONTEFORTE / AFP

«Chi sa se a fine mese ci arriverà lo stipendio?». Tra i lavoratori della sede di Autostrade per l’Italia, in balia dello scontro politico sulla revoca o meno della concessione, si avverte grande preoccupazione. «Saremo riassorbiti tutti con un eventuale passaggio ad Anas? E a quali condizioni?».

La ministra delle Infrastrutture e dei trasporti Paola De Micheli, negli scambi con il premier Giuseppe Conte sul dossier, lo ha messo in evidenza più volte: «Che ne sarà dei settemila dipendenti?». Ma nello scontro tra Atlantia e il governo, il tema del destino dei lavoratori finora è rimasto sotto il tappeto. Sottovalutato dai partiti di maggioranza da una parte, e utilizzato come spauracchio di nuove voragini occupazionali dall’altra.

Ma mentre le decisioni si avvicinano, cresce l’inquietudine. E dopo giorni di silenzio in cui si è evitato di entrare nella partita politica, anche i sindacati hanno cominciato a farsi sentire. Prima la Filt Cgil, che raduna la categoria dei trasporti. «C’è forte preoccupazione perché in ballo c’è il lavoro di oltre 5mila dipendenti diretti e circa 3mila tra dipendenti delle aziende collegate ad Aspi che svolgono manutenzione, progettazione, servizi amministrativi, informatici e pulizie delle aree di servizio e gli stagionali», hanno scritto in una nota.

E poi anche gli edili della Fillea Cgil. «Qualunque scelta faccia il governo, la salvaguardia totale dell’occupazione, la continuità industriale e la sicurezza delle strade dovranno essere le priorità», spiega il segretario Alessandro Genovesi. «Dalle notizie che ci arrivano, viene fuori che sia che emerga l’ipotesi di una ristrutturazione della società sia nell’ipotesi di un commissariamento, non verrebbe garantito comunque l’intero perimetro occupazionale. Da troppe parti si comincia a parlare di salvaguardare solo una parte dei dipendenti del gruppo e non tutti, e così non va. Non vogliamo entrare nella discussione politica, ma non dovranno essere i lavoratori a pagare né lo scontro politico né gli errori del management. Quello che proponiamo noi è una terza via con una società di scopo, magari di sei mesi, che non disperda le professionalità e i profili industriali, che faccia il nuovo bando di gara in cui dovrà essere inserita una specifica e rigida clausola sociale».

Ma la partita è più complessa di quello che sembra. Secondo i dati forniti da Aspi, i dipendenti del gruppo, al 30 giugno 2020, sono 6.923, di cui 100 dirigenti, 339 quadri, 2.787 impiegati, 2.127 “esattori” (i dipendenti che stanno al casello) e 1.570 operai. Di questi, oltre il 90% (6801) è assunto a tempo indeterminato, inquadrato con il contratto nazionale autostrade e trafori.

Dalla concessione, però, non dipendono solo i lavoratori diretti di Autostrade per l’Italia. «La situazione è molto più complicata. Aspi non è solo quelli che lavorano ai caselli», dice Stefano Malorgio, segretario della Filt Cgil. «Oltre ai dipendenti diretti e agli stagionali coinvolti nella concessione, ci sono le società che Aspi controlla». Tra queste: la Essediesse, con 256 dipendenti, che fa le buste paga; Autostrade Tech, con 102 dipendenti che fanno ricerca e sviluppo; Giove Clear, 403 dipendenti più stagionali che fanno le pulizie nelle aree di servizio.

«Se togliere la concessione sarà un “colpo mortale”, come dicono da Atlantia, allora non c’è solo la questione dei dipendenti diretti, ma di tutte le controllate di Aspi e Atlantia», dice Malorgio. Un effetto domino che coinvolgerebbe anche le altre concessionarie di cui Aspi è socia di maggioranza: Tangenziale di Napoli (controllata al 100%), Autostrade Meridionali, Società italiana del traforo del Monte Bianco, Società autostrada tirrenica, Raccordo autostradale Valle D’Aosta. A queste si aggiungono tutte le imprese e i lavoratori edili coinvolti negli investimenti già fatti da Atlantia e che ora potrebbero subire una battuta d’arresto.

Complessivamente, intorno al gruppo ruotano oltre 14mila dipendenti, ma allargando il cerchio si arriva anche a 20mila. «Abbiamo sempre auspicato un accordo tra le parti», dice Malorgio. «Non è una posizione preconcetta di salvaguardia di una impresa, ma una posizione che coglie la complessità della partita occupazionale e aziendale. Se si dovesse decidere la revoca, come si pensa di gestire questa fase transitoria? Dovrà essere fatto in maniera ordinata, evitando il “fuggi fuggi”. La tutela dei soli lavoratori diretti non è accettabile. La nostra richiesta è che, qualsiasi soluzione si prenda, il governo si faccia carico della garanzia dell’intero sistema che sta dietro alla concessione».

Molto preoccupata per le sorti dei lavoratori tra occupati diretti e dell’indotto che gravitano attorno alla società Autostrade è anche la Cisl. «Sulla vicenda della concessione ad Aspi ci appelliamo al buon senso del governo: la smetta di tergiversare e di ridurre tutto a meri giochi politici e di finanza, e faccia finalmente chiarezza su una vicenda delicata e complessa, che riguarda circa 20.000 lavoratori e la sicurezza della nostra rete autostradale», scrivono in una nota congiunta i segretari generali Cisl, Annamaria Furlan, Fit-Cisl, Salvatore Pellecchia e Filca-Cisl, Franco Turri. «Siamo molto preoccupati per la sorte degli oltre 10mila dipendenti diretti e delle società controllate del Gruppo, come quelle impegnate nella manutenzione, ai quali si aggiungono altri 10 mila nell’indotto stabile». Qualunque decisione si prenda, non si potrà non tenere conto della partita occupazionale che si apre.

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