La Direzione Investigativa Antimafia pubblica ogni semestre una relazione sull’attività svolta e i risultati conseguiti.
In questi giorni è possibile leggere quella relativa al periodo luglio-dicembre 2019, tuttavia, come segnalano gli stessi estensori, nel tempo trascorso tra la sua stesura e la pubblicazione, l’emergenza sanitaria intervenuta ha suggerito l’aggiunta di un’apposita sezione Covid 19, dato l’impatto determinante che le conseguenze della quarantena sta avendo su tutte le aree di intervento e, purtroppo aggiungiamo noi, in particolare sul settore della ristorazione.
Il documento è imponente e molto particolareggiato e non è di semplice approccio, allora abbiamo fatto una cosa molto semplice che dà la misura della gravità del problema delle infiltrazioni della malavita nel comparto della ristorazione.
Abbiamo, così, digitato i vocaboli “ristorazione” e “ristorante” nella barra di ricerca: il risultato è impietoso, infatti, compaiono ben 74 volte. Se poi la ricerca si estende alle attività “Alberghiere” si aggiungono 42 voci.
Lo sappiamo, il settore non è esente da questo problema, è stato calcolato che nella sola città di Milano due aperture di esercizi pubblici su cinque sono da attribuire a prestanome che fanno da terminale a ricicli di denaro proveniente da attività illecite.
Così come leggiamo, con una certa preoccupante frequenza, di chiusure “per mafia” di numerosi locali.
La DIA, dunque, nel rilasciare il documento periodico, pur non trattando in maniera specifica il periodo intercorso da gennaio a oggi, lancia un allarme, citando proprio la ristorazione come uno dei settori più a rischio di aumento esponenziale di potenziali infiltrazioni mafiose.
Nulla di nuovo, d’altra parte, le difficoltà sono aumentate per tutti e anche i ritardi nell’erogazione degli aiuti statali fanno lievitare la tentazione di cadere nella rete di chi si presenta alla porta con iniezioni di liquidità, altrimenti difficili da reperire.
Importante, dunque, che, finché l’economia non riprende a marciare in modo adeguato, per gli operatori del settore siano studiate tutte le possibilità di sostegno alle attività.
Ciò premesso, vale la pena dare una rapida lettura, naturalmente è un eufemismo visto che il poderoso documento è composto di 888 pagine, per capire gli ambiti in cui la ristorazione è coinvolta dalle attività malavitose.
Il quadro è oltremodo desolante e preoccupante.
Seguendo, oltre al numero, il filo delle parole, già si capisce come la ristorazione sia un campo minato, fertile per le mafie, pericoloso per chi ne vive e non si parla di alcune aree del Paese storicamente tristemente note, perché i fatti esposti riguardano tutta l’Italia, nonché l’estero, luoghi che sembrano estranei allo stereotipo del degrado fatto apposta per attirare investimenti dolosi, anzi, sempre più spesso, posti patinati, da copertina, oggi diremmo “da influencer”.
Così, anche in questo settore, non fa più notizia sentir parlare di “colletti bianchi”, inamidati manager che si presentano bene, parlano bene, magari in più lingue, e “investono” con determinazione.
La relazione della DIA mette in guardia sui loro comportamenti, individuabili quando entrano in gioco cessioni di società, licenze, facili subentri.
Sempre più spesso viene usato il concetto di “’ndrangheta imprenditrice” lontano anni luce dall’immagine banditesca legata, anche geograficamente, alle pendici dell’Aspromonte.
A loro agio in diverse aree del mondo, dove vengono segnalati ristoratori tipici che sono costretti a rifornirsi presso produttori legati alle famiglie calabresi.
Non sono esenti gli esercizi più disparati come gli ambulanti, oggi chiamati street food, dunque, di moda e ancora più appetibili. Gelaterie e Pasticcerie, anche nel centro storico di città d’arte, sono una nuova frontiera.
Più comprensibile l’attenzione delle cosche ai servizi di catering e al variegato mondo della ristorazione collettiva dove pilotare gli appalti significa entrare in business milionari.
Non manca un accenno alla filiera agroalimentare dove le difficoltà finanziare potrebbero favorire l’insorgenza di monopoli, facili territori di ingerenza criminale.
In tutti gli esercizi, comune denominatore il lavoro nero associato alla mancanza assoluta di tutele.
Infine, le altre parole più associate alla ristorazione nel documento sono: attentati, danneggiamenti, incendi, estorsioni, intimidazioni, ma anche connivenza, complicità.
Insomma un ventaglio di termini che indicano come il settore della ristorazione sia un terreno di battaglia sul quale ogni giorno si lasciano dei pezzi.
Non resta che sollecitare tutti i protagonisti di questo mondo, ciascuno di noi, giornalisti, ristoratori, a tenere gli occhi aperti, a non far finta che tutto vada bene, che le insegne luccicanti ci tengano al riparo dalla brutte cose.
Impariamo a riconoscere il male, abbiamo il coraggio di denunciarlo, non lasciamoci distrarre dai lustrini. Oggi, ancora di più, è imperativo difendersi, perché quando la crisi morde il dolore è forte e si rischia di cedere.