Il 7 luglio il Senato ha approvato il provvedimento di rifinanziamento delle missioni all’estero, rafforzando la presenza militare in Libia e in Sahel. Ieri c’è stato il via libera anche alla Camera, dove a causa delle divisioni interne sugli interventi da finanziare il testo è stato votato per parti separate. La prima votazione, che ha escluso il capitolo del finanziamento alla missione in Libia, ha ottenuto 453 sì, nessuno voto contrario e 9 astenuti. La seconda votazione relativa agli interventi sulla Libia e in favore della Guardia costiera libica ha registrato 401 sì, 23 no e un’astensione (i deputati di Italia Viva sono invece usciti dall’aula). È stata impedita la votazione sulla risoluzione di Liberi e Uguali, contrari in toto all’intervento in Libia.
Tra i 23 deputati che hanno votato contro il rifinanziamento c’è l’ex presidente del Pd Matteo Orfini, secondo cui la votazione di ieri ha segnato «una delle pagine più nere del Partito democratico».
Per la Libia è stato previsto lo stanziamento di 3 milioni in più rispetto all’anno scorso, sapendo comunque le atrocità di cui si è macchiata la Guardia costiera libica. Perché il suo partito ha votato a favore?
È difficile rispondere, il Partito democratico non è quello di ieri che ha votato in aula, ma quello che in assemblea ha deciso all’unanimità di votare contro una mozione del genere e di non sostenere più chi stupra, commette omicidi e torture. Il Partito è quello dei delegati e degli iscritti.
Quindi?
Quella decisione ieri è stata completamente rinnegata senza alcuna discussione. Senza che nessuno abbia ritenuto di convocare una riunione o di spiegare perché. È una decisione presa non so in quale caminetto e non so da chi, ma è stata caricata addosso alla comunità intera del Partito.
Cosa ha fatto cambiare idea ai suoi colleghi così rapidamente?
Per mesi ho combattuto affinché arrivassimo a questo voto come lo scorso anno. Ovvero uniti, in quanto nel 2019 non partecipammo alla votazione sul rifinanziamento della Guardia costiera libica. Questa battaglia è stata portata avanti anche nelle settimane precedenti al voto di ieri, con segnalazioni fatte privatamente al segretario di partito, al ministro della Difesa, al capo delegazione al governo e al mio capogruppo. L’esito è stato un sostanziale disinteresse, frutto non di strategie di governo ma di una scelta a cui non riesco a trovare un senso.
Inconsciamente o con secondi fini, il Partito democratico ha fatto il gioco della destra e del suo alleato di governo?
Ha fatto una cosa gravissima nel merito: abbiamo deciso in assemblea su un tema che ha portato nel tempo con sé un dossier di inchieste giornalistiche, della magistratura, delle organizzazioni internazionali. In altre parole: tutti sanno cosa fa la Guardia costiera libica, non siamo a tre anni fa. Ma il Partito democratico ha calpestato la questione, fregandosene della sistematica violazione dei diritti umani. E poi c’è un errore gravissimo anche nel metodo: un partito che dice una cosa e nella sostanza fa l’opposto, rompendo un patto di lealtà interno, è un partito che non esiste.
O semplicemente un partito che è diventato ombra del suo alleato di maggioranza…
Temo che questa volta non si parli di un ulteriore appiattimento verso i Cinquestelle. In questo caso non si è voluta neanche aprire una discussione all’interno della maggioranza di governo. Nelle ore successive e nei giorni precedenti non si è palesato nessuno dei dem contrari al rifinanziamento: è successo tutto nel silenzio più totale, disattendendo il volere dell’assemblea. Nessuno del mio partito ha combattuto affinché la maggioranza votasse contro i fondi a favore della guardia costiera libica.
Stiamo parlando di un tema sensibile alla sinistra, che potrebbe aggravare ulteriormente lo scollamento con il vostro elettorato. Secondo lei non hanno pensato a questo?
Si è evidentemente, con grande ipocrisia, detto di sì a un ordine del giorno, in quanto si capiva che su quella posizione era difficile affrontare una discussione interna al governo. E poi si è fatto finta di niente. Lo schiacciamento non c’entra, ieri ci è stata la totale sottovalutazione di una questione enorme.
Però le origini degli accordi risalgono a un governo di centrosinistra e non c’è stata discontinuità. Forse è il segno di un cambio irrimediabile dei valori interni del Pd?
Si è assistito alla rottura con la tradizione riformista della sinistra italiana. Per intenderci: noi siamo quelli che negli anni Novanta hanno addirittura ipotizzato che di fronte alla violazione dei diritti umani si può concepire l’intervento militare. Gli stessi dell’ingerenza umanitaria. E oltre al fatto di non essere mai stato in linea con la strategia di Minniti, ieri rompendo completamente con quella tradizione di politica estera del nostro Paese decidiamo non solo che i diritti umani non sono più al centro del nostro programma politico, ma decidiamo che si può perfino sostenere e finanziare chi non sottoscrive la convenzione di Ginevra affinché faccia il lavoro sporco per noi. Ovvero, i respingimenti illegali di migranti.