Ci sembra utile discutere un interessante articolo di Rainer Zitelmann uscito su Linkiesta, perché permette di mettere in evidenza alcune differenze strutturali tra l’Italia e il resto d’Europa. L’articolo di Rainer Zitelmann auspica, in modo esplicito nel titolo, che l’Italia segua l’esempio della riforma di Schröder, che, come viene spesso ripetuto, ha permesso alla Germania di tornare a crescere. Rainer Zitelmann ha ragione a individuare la poca simpatia per il mercato che esiste in Italia.
Tuttavia l’Italia non può seguire alla lettera l’esempio tedesco, perché dovrebbe tagliare un tipo di welfare che non ha. Non si può tagliare o riformare quello che non esiste. Mentre in Germania si sono migliorati gli incentivi di un sistema già sostanzialmente equo e razionalmente disegnato, In Italia si parte da uno scenario caotico, inefficiente e iniquo.
Criticando i critici della riforma di Peter Hartz (dunque la riforma di Schröder), la Frankfurter Allgemeine Zeitung il marzo 2010 scriveva che «Aus italienischer Sicht stelle di Sozialleistungen in Deutschland das Schlaraffenland dar», “dal punto di vista italiano i benefici del sistema sociale tedesco sono da paese della cuccagna». E questo perché: «keine Sozialhilfe in Italien». Ovvero, perché «non ci sono aiuti sociali in Italia».
Per “Sozialhilfe” si devono intendere gli strumenti di welfare come il tedesco Hartz IV (o Arbeitslosengeld II), oppure l’inglese Job Seekers Allowance, oppure il francese Revenu de Solidarité Active. Si tratta di strumenti universalistici di welfare che intervengono in caso di disoccupazione, cercando – e qui è tutto il problema delle riforme europee degli ultimi anni – di non costituire un disincentivo al lavoro.
Solo di recente in Italia è stato improvvisato un “reddito di cittadinanza”, che però non è uno strumento davvero universalistico, è fortemente disincentivante, è iniquo nei confronti delle famiglie con figli, ed è pensato genericamente “contro la povertà”. Non è un sistema di welfare per la disoccupazione e non ha alle spalle i job centre tedeschi, francesi, inglesi.
La differenza tra i due Paesi è tale che in Italia il rapido riferimento di Rainer Zitelmann alle riforme di Schröder è semplicemente incomprensibile senza contesto. Rainer Zitelmann scrive giustamente che la riforma di Schröder ha portato all’«accorpamento del generoso sussidio di disoccupazione con le normali prestazioni di sicurezza sociale, portando così il sussidio al livello più basso di queste ultime». Ora, questo implica che esistano delle «normali prestazioni di sicurezza sociale» a cui un altro sussidio di disoccupazione più generoso e disincentivante al lavoro possa venire ridotto. Queste «normali prestazioni» però non sono il caso dell’Italia.
Gerd Andres, che è stato segretario di stato al ministero dell’Economia e del Lavoro (Wirtschaft und Arbeit) con Schröder, illustrò in Italia, in un interessante documento, (Die Hartz-Reformen als Kernelement einer aktiven Beschäftigungspolitik) in che cosa consiste l’aspetto a cui si riferisce Zitelmann. «Chiunque fosse ancora disoccupato dopo aver ricevuto l’indennità di disoccupazione aveva in precedenza diritto alla cosiddetta “assistenza alla disoccupazione”. Questo beneficio era una sorta di ibrido istituzionale. Da un lato, si trattava di un sussidio previdenziale basato su una prova dei mezzi, finanziato dalla fiscalità generale e di durata essenzialmente illimitata. Ma allo stesso tempo era dipendente – come una prestazione assicurativa! – per il suo importo massimo dal reddito» che il disoccupato ha perduto. «Quindi, chi, a un certo punto della sua vita, è stato occupato per un anno e soggetto ai contributi delle assicurazioni sociali, avrebbe potuto teoricamente percepire il 57% di un reddito precedente fino alla pensione di anzianità, se fosse stato solo bisognoso».
In altre parole, prima di Schröder accadeva che un disoccupato, finito il periodo coperto dall’Indennità di disoccupazione, potesse continuare a usufruire di un assegno generoso per molti anni, costituendo un forte disincentivo al lavoro. Adesso, dopo la riforma, tutti i disoccupati, esaurito il primo anno di indennità di disoccupazione, percepiscono solo il sussidio di disoccupazione.
La riforma di Schröder ha però anche ridisegnato il normale sussidio disoccupazione che ha preso il nome di Arbeitslosengeld II, o, nella versione popolare, Hartz IV, dal nome del suo ideatore, Peter Hartz. Adesso, in Germania, un disoccupato prende circa 350 euro al mese, più assegni per ogni figlio, un aiuto importante per l’alloggio, gli viene corrisposta gratuitamente l’assicurazione sanitaria e ha comunque la possibilità di svolgere dei “mini job” (i famosi mini job intorno ai quali si è molto fantasticato in Italia).
Un altro aspetto chiave della riforma Schröder è stato quello di rendere gli uffici del lavoro, ovvero i job centre che gestiscono sia i sussidi che le offerte/richieste di lavoro, più severi. Questa riforma ha scatenato molte polemiche in Germania, che però, riportate in Italia, fanno sorridere. A questa maggiore severità degli uffici di collocamento fa riferimento Rainer Zitelmann quando scrive che adesso «chiunque rifiuti un’offerta di lavoro ragionevole – modificheremo i criteri per stabilire cosa voglia dire “ragionevole” – dovrà essere sanzionato».
Di nuovo, l’osservazione di Zitelmann presuppone un contesto (che è quello tedesco e nord europeo) nel quale i disoccupati, che percepiscono degli assegni più o meno generosi, ricevono anche dai job centre delle offerte di lavoro e che, in questo contesto, ci sia stata però la tendenza a rifiutare queste offerte se non fossero state “ragionevoli”: il che significa “ragionevolmente” vicine alla propria abitazione, “ragionevolmente” remunerate, e “ragionevolmente” conformi alla specifica professionalità del disoccupato.
I giornali inglesi, francesi, tedeschi sono pieni di questi casi. Le riforme nord-europee in genere non cancellano il carattere universalistico del welfare, ma cercano di rendere i sussidi (che restano, non vengono cancellati) meno distorsivi. La questione del rapporto tra sussidi e incentivi, il loro equilibrio, è il tema centrale sopra le Alpi.
Il welfare italiano premia i contratti a tempo indeterminato, mentre lascia nel precariato senza rete molti degli altri. La flessibilità è presupposta per i precari come una condanna, e sembra quasi che il precariato debba rendere produttivo un sistema generale che, produttivo, lo è sempre meno. Sistema pensionistico e cassa Integrazione in deroga (di fatto un sussidio di disoccupazione truccato e un aiuto di Stato alle imprese), a loro volta, sono chiamati a svolgere funzioni improprie di welfare, di nuovo con effetti distorsivi e iniqui.
Prima di Schröder, la Germania aveva un welfare universalistico, ben organizzato, molto generoso ma disincentivante per il lavoro. Dopo la riforma, il welfare tedesco, è sempre universalistico e ben organizzato. Può essere giudicato meno generoso, ma in compenso offre migliori incentivi e sostegno al lavoro e perciò alla fine è più efficace nel promuovere il benessere generale.
L’attuale scenario Italiano è radicalmente diverso da quello tedesco pre-Schröder. Non è universalistico, è caotico e iniquo perché troppo generoso con qualcuno e assente per tanti altri, offre ampi spazi di manipolazione politica e complessivamente contribuisce a disincentivare il lavoro e a bloccarne la mobilità. Quindi le eventuali riforme non possono essere pensate come quelle tedesche: miglioramenti di un sistema già razionale che già suggeriva la direzione da prendere. In Italia si tratterebbe di costruire a partire dal caos: e le direzioni possibili sono più d’una.
*Ugo Colombino – Professor Emeritus of Economics Department of Economics and Statistics “Cognetti De Martiis” Research Fellow, IZA, Bonn, Germany Fellow, Global Labor Organization Visiting Scholar, LISER, Luxembourg
*Giovanni Perazzoli- autore di “Contro la miseria. Viaggio nell’Europa del nuovo welfare”, Laterza 2014