Il 2020 si riscattaLe due nuove formidabili canzoni di Sufjan Stevens

Il nuovo album, The Ascension, esce a settembre, ma il cantautore di Detroit ha pubblicato il primo singolo e una b-side, con il consueto frullatore di suoni tradizionali e elettronici che sono il suo marchio di fabbrica. America e My Rajneesh sono due piccole sinfonie epiche e ascetiche, per una volta addirittura politiche

dal sito di Sufjan Stevens

Tra i segnali che la seconda metà del 2020 potrebbe riscattare la mestizia della prima parte dell’anno c’è l’annuncio dell’uscita del nuovo album di Sufjan Stevens, uno dei geni musicali dell’indie pop del nostro tempo.

Il disco si intitola The Ascension e si dovrà aspettare ancora fino al 25 settembre per ascoltarlo nella sua interezza, ma il 4 luglio, a metà anno scavallato, il cantautore di Detroit ha anticipato un singolo, America, e nei giorni scorsi ha pubblicato anche una b-side, My Rajneesh, che non entrerà nel disco ma che conferma il filo conduttore del nuovo lavoro di Stevens che sembra essere in piena continuità col suo percorso musicale, un misto di spiritualismo e di ascetismo con cui ogni volta carica una lavatrice di suoni tradizionali ed elettronici fino a centrifugarli assieme alle visioni apocalittiche di un paese in continua lotta tra il misticismo e l’assenza di fede.

America è una canzone, chiamiamola così anche se è una piccola sinfonia, lunga dodici minuti dove Sufjan Stevens parla dell’America che non si raccapezza, rivolgendosi non si sa a chi, ma forse sappiamo benissimo a chi visto che ripete in continuazione «Don’t do to me what you did to America», «non farmi quello che hai fatto all’America», facendo quindi immediatamente pensare ai danni civili e morali provocati da Donald Trump allo spirito americano. Ma è sempre Sufjan Stevens, il registro è trascendentale, intimo, tenero, non quello della protest song.

Il My Rajneesh del secondo brano è Bhagwan Shree Rajneesh, meglio conosciuto come Osho, non quello delle frasi in romanesco, ma il vero guru induista che fu protagonista di svariati casi giudiziari in Oregon raccontati di recente dal documentario Netflix Wild, wild country. Sono altri dieci minuti epici sull’amore, sul terrore e sulla fede degli adepti della setta di Osho in una tensione emotiva crescente che fotografa con riferimenti biblici e visioni celesti sia la devozione personale sia l’allucinazione collettiva.

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