Inquietudine e pessimismo: questo l’effetto della lettura incrociata degli editoriali post ferragostani dei due principali quotidiani cartacei del Paese.
Il Corriere della Sera, con Aldo Cazzullo, si chiede tout court se il Partito Democratico, socio portante del governo, abbia le idee chiare (concludendo che non le ha), e la Repubblica, con Ezio Mauro, descrive i Cinquestelle, primo partito in Parlamento, come il movimento che ancora «non sa chi è». C’è da stare allegri, per il nostro futuro.
L’unico tratto di ottimismo lo fornisce Ezio Mauro, che saluta il ritorno di una vecchia “talpa”, la politica, come segno confortante della maturazione pentastellata.
Ma è lecito chiedersi allora: chi aveva lasciato la talpa sottoterra? E allora Mauro dovrebbe guardarsi attorno, senza andare troppo lontano.
Chi ha vezzeggiato l’anti-politica, chi ha chiuso occhi e orecchie in questi anni sulla violenza fatta alle regole democratiche, allo stato di diritto, al rispetto delle minoranze? Chi ha considerato i grillini sangue giovane da immettere nelle vene della vecchia politica? Sono tanti i sostenitori ante marcia dell’accordo tra il Partito senza idee chiare e quello che non le ha.
È dai tempi dell’indecoroso streaming Crimi-Bersani che le teste pensanti del giornalismo e della cultura auspicano questo incontro salvifico. E Goffredo Bettini non ha fatto fatiche ideologiche personali per distillare la strategicità dell’intesa di governo attuale. Il piatto era già servito da mezza intellighenzia nazionale.
Non si scopre oggi che la politica era stata messa tra parentesi con il consenso entusiasta, ma furbetto, di chi la etichettava come cosa “vecchia”.
È francamente sconcertante che per celebrarne il ritorno si debba festeggiare il giochino clandestino del software Rousseau, che avrebbe decretato con un colpo solo la fine del limite di mandato e la possibilità di fare accordo con “i partiti”, merce fino a ieri avariata.
Meno male che in un angolino c’è ancora Pigi Battista, che cerca di distinguere i comportamenti in base alla serietà, categoria vecchia anch’essa, ma rispettabile.
Per il resto del mondo, voltar gabbana, e fare tutto e il contrario di tutto per di più con arroganza, si chiama invece “evoluzione”.
Cosa volete, i tempi cambiano, quello che era vero ieri non vale più oggi. Così dice il ministro degli Esteri, con l’aria del viveur che insegna il galateo ai Di Battista ancora grezzi e provinciali, nonostante i viaggi esotici.
Sembrerebbe lo stereotipo del democristiano, se non mancassimo di rispetto, nel notarlo, alla vera Democrazia Cristiana, che proprio ieri, con Ciriaco de Mita, ci ha ricordato che la politica vera ha nel “pensiero” il solo fondamento.
La “talpa” era anche questo: pensiero prima dell’azione e soprattutto prima della comunicazione di un’azione ancora da realizzare. Speriamo che Ezio Mauro, che ne ha avvistato il ritorno, sia pure in una circostanza non esaltante, lo scriva anche in futuro.
Perché la politica è una sola, con i suoi pregi e i suoi difetti, e distinguerne la qualità in base alla numerazione repubblicana è un’altra delle mistificazioni della nostra povera cronaca quotidiana, che ancora – per pigrizia culturale – continua ad usare il termine “Prima Repubblica” come sinonimo di cattiva politica.
Nella graduatoria della negatività, come collocare allora quella attuale, la cui numerazione è incerta? Proprio Mauro auspica ad esempio che si ritorni «alla contesa aperta dei grandi congressi di partito», che della Prima Repubblica sono un simbolo eloquente, con le loro “correnti”, le “tessere”, gli accordi notturni.
Tutte cose che sono state sostituite per un paio di settimane dallo streaming e poi diventate materia di intensissimo lavorio di retrobottega della nuova politica. Quella che ha lottizzato le cariche come mai nel passato e ha abbagliato gli ingenui con il taglio dei parlamentari, ma vuole un CSM più pletorico: un componente ogni 10 senatori!
C’erano una volta le primarie, giudicate non una cattiva imitazione a stelle e strisce, ma come la panacea di una democrazia malata. Ma qui ci pensa Cazzullo a far opera di verità: sono state una maniera per consacrare cose già decise, salvo nel caso Renzi-Bersani. Cade un altro mito del nuovissimo senza pensiero.
C’è davvero da non star allegri, ma anche c’è da dare una risposta ai tanti che a queste “evoluzioni” non credono.
Per questo, sarebbe necessario che il Partito Democratico si schiarisse le idee e magari evitasse di ritirare le querele contro gli alleati del Conte 2.
Tanto i magistrati non avrebbero dato corso a quelle denunce e l’ultima delle cose utili sarebbe stata portare in Parlamento l’autorizzazione a procedere contro lo scalmanato che aveva sostenuto in Tv che i democratici rubavano i bambini a Bibbiano. La querela era un fatto politico, morale, non giuridico. Per far capire che certe cose non si fanno, e basta.
Se infatti la politica è una talpa che deve riemergere, per rispetto dei suoi iscritti Zingaretti non dovrebbe nascondere sotto il tappeto la vergogna del nuovo amichetto “strategico”.
La politica è compromesso e forse i Cinquestelle dovranno impararlo sul serio, loro che pensavano che non c’è né destra né sinistra, ci sono solo complotto e scie chimiche.
Compromesso è una bella parola, è arte, per un politico (sempre purché si parta da un “pensiero”), ma i compromessi esistono proprio perché ci sono cose che non ammettono compromessi.