Grazie Rousseau, grazie Grillo, grazie Di Maio. Zingaretti no, proprio non si può ringraziare, perché è complice della più disonorevole resa del mondo democratico occidentale dai tempi di Monaco 1938, chiamiamola Bibbiano 2020. In ogni caso, l’alleanza strategica Cinquestelle-Pd sancita sul fronte grillino dal voto su Rousseau e su quello Pd da una soffiata a Claudio Tito di Repubblica, a proposito di condivisione anche dei processi politici democratici, è un necessario e atteso spartiacque tra i populisti su una sponda e gli anti populisti dall’altra.
Bibbiano 2020, con il passaggio formale del Pd al fronte populista, è un’occasione formidabile per far partire quella “alleanza contro gli stronzi” di cui parliamo su questo giornale da mesi. I primi segnali si sono visti ieri su Twitter con gli improvvisi scambi di affettuosità tra Renzi e Calenda (speriamo che durino).
Le cose adesso sono più chiare, per quanto terrificanti: da una parte ci sono i sovranisti e i nazionalisti e ora formalmente anche il fronte Cinquestelle-Pd, a formare la stragrande maggioranza delle intenzioni di voto, mentre dall’altra ci sono i liberali, i democratici, i socialisti, i repubblicani, gli europeisti, gli ambientalisti, non solo quelli già coinvolti dai partiti di Renzi, Bonino, Calenda, ma anche i dirigenti e gli elettori del Pd e di Forza Italia che non accettano di essere guidati gli uni dagli illiberali Salvini e Meloni e gli altri dai demagoghi, dai giustizialista e dai teorici del superamento della democrazia rappresentativa.
Saranno pochi, ma c’è il tempo per organizzarsi in vista delle elezioni del 2023, e magari della caduta di Donald Trump. Il referendum del 20 settembre sarà il momento in cui si giocherà la prima partita populisti-antipopulisti: con Meloni e Zingaretti e Salvini e Di Maio uniti nel fronte del sì all’attacco miserabile alla politica e alla casta, con l’ausilio dei “riformisti per il Sì” che sono la versione di sinistra e altrettanto grottesca dei “liberali per Salvini”; dall’altra parte c’è l’Italia che resiste in difesa delle istituzioni democratiche, della politica dei dati di fatto e della decenza del dibattito pubblico. Al referendum il vantaggio dei primi è insormontabile, ma non bisogna scoraggiarsi come non si scoraggiarono quei dodici professori che ottantanove anni fa scelsero con coraggio di non giurare fedeltà al fascismo.