Una denuncia e un ricorso. Alcuni iscritti del Partito Democratico, che aderiscono al Comitato Democratici per il No al referendum del prossimo settembre, ha deciso di rivolgersi alla Commissione nazionale di garanzia contro il Sì deciso dal Partito Democratico.
La posizione, fanno notare, in un comunicato, «non è mai stata ufficialmente deliberata da alcun organo del partito».
La conseguenza è che il Partito Democratico «occuperà gli spazi televisivi dedicati al referendum» insieme ai partiti che si sono schierati per il Sì, ma senza avere compiuto «una discussione vera e una deliberazione dei suoi organi interni».
Non solo. «Denunciamo il fatto che nella Festa nazionale del partito non sia previsto alcun dibattito sul referendum, né risulta previsto alcun tipo di discussione interna nel merito del quesito» oggetto di consultazione.
Una linea di silenzio e cautela che cerca di non smuovere troppo le acque sulla questione. «Non era mai accaduto che il Pd non consentisse lo sviluppo del pluralismo interno in una consultazione che riguarda gli assetti fondamentali della nostra Costituzione».
Una riluttanza al confronto che, in realtà, sorprende poche persone: «Il gruppo dirigente del partito», continua il comunicato, «si prepara a schierarsi per il Sì contraddicendo ogni sua precedente posizione», con cui chiedeva di ancorare il Sì a precisi contrappesi, riforme o anche solo progetti di riforma collegati che, però, non sono mai stati approvati in precedenza. Quello che rimane è un appello a un voto che risulta frutto soltanto di «ragioni di opportunità politica».
Da qui, insomma, parte la denuncia nei confronti dei dirigenti, di Zingaretti e, in un certo senso, di tutta la classe politica che ha deciso di rinunciare ai propri valori e alle proprie missioni per un piatto di lenticchie. Con, in più, una domanda: «Perché hanno paura di dirlo davanti agli iscritti?»