Base semiriformistaGuerini raffredda l’alleanza con i grillini, ma il Pd non ha il coraggio di votare No al referendum

Il ministro della Difesa ha derubricato l’intesa con i Cinquestelle a mossa tattica per tenere in piedi il governo. Non un altare su cui celebrare le nozze con Vito Crimi, ma un bar dove prendere un caffè. Chissà

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Che Lorenzo Guerini, da solo, abbia la forza di correggere la linea dell’AS (Alleanza strategica Partito democratico – Movimento 5 stelle) voluta da Dario Franceschini e Goffredo Bettini è tutto da vedere. Però il fatto nuovo c’e, perché si tratta non solo di un importante ministro ma soprattutto del leader di quella corrente di maggioranza del pancione zingarettiano che si chiama “Base riformista” di cui fanno parte i renziani che non hanno seguito Renzi nella sua scissione. In un lungo articolo per il Foglio, Guerini ha derubricato l’AS a fatto meramente tattico, utile a tenere in piedi il governo, ma ben lontano dall’ipotesi di una crescente convergenza al limite della saldatura come ipotizzato da Franceschini.

In questo quadro, il ministro della Difesa ha rilanciato il protagonismo del Pd (in verità una pagina tutta da scrivere e finora in contrasto con i numeri dei sondaggi) rispolverando quella “vocazione maggioritaria” che era rimasta seppellita dalle peripezie del partito, una vocazione che per Guerini può esprimersi anche con una legge proporzionale: «La Democrazia cristiana – ripete spesso – esprimeva eccome una vocazione maggioritaria seppure nel proporzionale, e oggi anche la Cdu tedesca…».

La differenza con la logica del Lego che va per la maggiore al Nazareno per la quale a mattoncino si aggiunge mattoncino, è evidente, e così la conseguenza: l’alleanza con i grillini non deve più essere l’ossessione del Pd ma al massimo un’intesa elettorale, un fatto tattico. Rompe il silenzio il sindaco di Firenze Dario Nardella: «Annunciare patti politici alla vigilia di qualche elezione, come fatto in Umbria, è più una tattica miope che il frutto di un serio progetto politico». E pertanto il referendum sul taglio dei parlamentari non è più l’altare su cui celebrare le nozze con il partito di Vito Crimi ma al più il bar all’angolo per prendere un caffè insieme.

Non sfugge che in un articolo così lungo Guerini non abbia proprio menzionato l’appuntamento del 20 settembre, come a segnalare una evidente distanza dalla passione con cui alcuni esponenti della sua corrente si stiano sbracciando per il Sì. E non è da escludere che il ministro della Difesa opti per una posizione diversa, come d’altra parte faranno esponenti prestigiosi di quel mondo cattolico-democratico da cui egli stesso proviene.

La cosa interessante adesso sarà vedere se queste posizioni avranno un qualche impatto (da registrare la posizione del milanese Alessandro Alfieri, uno dei due portavoce di Base Riformista che ha detto con chiarezza di no a un’alleanza strategica con il M5s) su altre componenti, a partire da quella di Franceschini. Il quale, da tempo silenzioso, potrebbe fare quello che fa da una vita, e cioè mediare fra le varie posizioni sul referendum – ieri è arrivata la dichiarazione per il No di Gianni Cuperlo – assestando il Nazareno su una posizione soft: votiamo Sì ma senza farci sopra una guerra. Una linea soft, cioè debole.

Ma se non si vuole proprio spostarsi sul No, come ha esplicitamente chiesto Matteo Orfini, bisognerà in qualche modo prendere atto che questa riforma giorno dopo giorno sta suscitando sempre maggiori inquietudini nei gruppi dirigenti e fra i parlamentari. Tanti non lo dicono ma questa storia del Sì a una riforma improvvisata non piace. Nella riunione della direzione che dovrà formalmente esprimersi (finora il Sì non è stato deciso in nessuna sede) certamente Zingaretti smorzerà gli entusiasmi, costretto a dare dignità e agibilità politica a quelli del No tentando di evitare un muro contro muro che certo non gli serve, ora che la sua linea sta perdendo pezzi.

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