Fenomeni paranormaliQuelli che applaudono Draghi ma anche l’assistenzialismo demogrillino (senza provare imbarazzo)

L’ex banchiere centrale ha detto a Rimini che c’è un debito buono e uno cattivo e che la politica dei sussidi non può durare. L’area democratica governa con i populisti ma elogia l’ex presidente della Bce: ma se si sta con lui vanno cancellati quota cento, reddito di cittadinanza, bonus e vanno utilizzati i soldi del Mes. Altrimenti è una presa in giro

pawel czerwinski, Unsplash

Ieri abbiamo assistito a un fenomeno paranormale, di quelli ormai sempre più frequenti nella nostra politica, il fenomeno di chi ha applaudito il discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini nonostante le mani fossero ancora spellate per gli applausi riservati a Giuseppe Conte e all’alleanza strategica tra Cinquestelle e Partito democratico, tra Casaleggio e la ditta, tra Beppe Grillo e i dimissionari del progressismo liberale. 

Il discorso dall’ex banchiere centrale è stato un distillato di anticontismo, di anticontismo 1 e di anticontismo 2, sia di quello sovranista e populista che governava con Matteo Salvini sia di quello democratico e populista che governa con Nicola Zingaretti.

Per coerenza e decenza, la destra sovranista non ha elogiato le parole di Draghi, anche perché Draghi ha demolito le misure economiche assistenzialiste di quando essa stava al governo con Conte. La sinistra favorevole all’alleanza strategica con i venezuelani associati si è invece sperticata in lodi dell’ex banchiere malgrado governi da un anno senza mettere in discussione le misure come quota cento e reddito di cittadinanza che Draghi, senza abbassarsi a citarle, ha spiegato essere controproducenti. Gli applausi per Draghi sono diventati scroscianti nonostante la pioggia di sussidi e di debito pubblico provocata dall’alleanza strategica che, secondo l’ex presidente della Bce, non aiutano né la crescita né lo sviluppo e anzi compromettono il futuro delle prossime generazioni. 

I demogrillini devono decidersi, perché delle due l’una: o applaudono Draghi oppure tengono pensioni anticipate, incentivi a non lavorare, paghette per la pizza, bonus monopattini e tutta l’architettura di piccoli e grandi sussidi che, come ha detto Draghi, possono servire a tamponare un’emergenza ma prima o poi finiscono senza aver creato alcuna condizione per la ripartenza. O applaudono Draghi che invita a favorire politiche economiche per i giovani oppure continuano a sprecare risorse fregandosene delle nuove generazioni. O applaudono Draghi oppure rinunciano ai soldi del Mes per rinnovare il nostro sistema sanitario, con l’ormai famoso «debito buono» per fare riforme strutturali rispetto al «debito cattivo» creato dai soldi distribuiti con l’elicottero.

O si è draghiani o si sta con Di Maio. Tutte e due le cose non si possono fare. O, meglio, si possono anche fare ma confermano che l’alleanza demogrillina Zingaretti-Di Maio non è seria né credibile, semmai complice degli anni di depressione che ci attendono, mentre noi aspettiamo Mario Draghi medesimo o chiunque impiegherà i prossimi mesi per costruire un’alternativa liberalsocialista ai due populismi di sinistra e di destra, riuscendosi a intestarsi il contenuto etico, programmatico e politico del discorso pronunciato a Rimini. E con esso un no a quota cento, no ai soldi per non lavorare, no ai decreti sicurezza, no all’elemosina alle partite Iva, no ai bonus a pioggia, no alla sottomissione ai nazionalisti e ai populisti e no al referendum contro la politica.

Ieri i social erano in subbuglio per il comunicato delle Sardine per il No al taglio dei parlamentari. I frizzi e i lazzi non sono mancati per l’unico movimento politico nato per creare assembramenti in piazza, stretti come sardine, pochi mesi prima della fine causa virus degli assembramenti. Le Sardine hanno commesso errori e ingenuità e si sono spesso dimostrate inadeguate e caricaturali, ma quando sono nate hanno scritto un manifesto programmatico che cominciava con queste parole: «Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita». E che continuava con queste: «Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola».

Le sardine lo avevano capito, al contrario dei cantori di Giuseppe Conte e delle magnifiche sorti e progressive dell’alleanza strategica con i populisti.

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