RitrattiGiuseppe Olmo e la Tenuta di Artimino: una storia di vino e biciclette

Una pedalata può cambiare la vita. È quello che è successo a un ragazzino di Celle Ligure, diventato campione di ciclismo e poi imprenditore, anche nel vino e nel turismo

Una villa da favola sui colli di Toscana con ospiti arrivati da tutto il mondo, un famoso campione di ciclismo degli anni ’30, il Granduca Ferdinando I de’ Medici, vini di grandissima qualità e una fabbrica di biciclette. Che cosa possono avere in comune? Sono gli elementi di una storia, quella che ci racconta Annabella Pascale, Amministratore delegato della Tenuta di Artimino, che oggi è un elegante resort. Una storia di imprenditoria italiana che, come tante favole, comincia con un ragazzino cresciuto in una famiglia povera.

C’era una volta…

Tutto comincia con un bambino che corre in bicicletta sulle strade tra Celle Ligure e Savona. «Correva da solo, pedalava dietro alle corriere» racconta Annabella. Una volta però il ragazzino incontra sulla sua strada altri due ciclisti. Due che vanno dannatamente forte. E c’è da crederci: uno è Giuseppe Olivieri, un professionista di ottimo livello, l’altro è addirittura Costante Girardengo, il numero uno in assoluto, il “campionissimo”. E lui, Giuseppe Olmo, detto Gepin, nonno di Annabella, si attacca alle loro ruote e, incredibilmente, riesce a tenere il loro passo. A quel punto Olivieri, pure lui ligure, intuisce che quel ragazzino ha un destino nelle due ruote. «Così – continua Annabella – va dalla mia bisnonna e le spiega che Gepin può diventare un campione, ma anche che ha bisogno di rafforzarsi. Deve mangiare carne. La risposta però lo spiazza: in famiglia ci sono altri cinque fratelli e tutti devono mangiare allo stesso modo. Non se ne parla proprio. Giuseppe al massimo potrà avere qualche uovo in più». E tutto sommato le uova bastano: a vent’anni Olmo è campione italiano e argento ai Mondiali dilettanti, a 21 oro a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. Nello stesso anno diventa professionista e si presenta vincendo la Milano Torino. Seguiranno due Milano San Remo, venti tappe del Giro d’Italia, con un secondo posto finale, dietro a Gino Bartali, un Campionato Italiano, un secondo posto ai Mondiali a cronometro. Nel 1935 decide di tentare il record dell’ora e lo centra al primo colpo: 45,090 chilometri, in un Vigorelli semideserto. «Gli avevano proposto di provarci – spiega la nipote –  lui aveva accettato e due giorni dopo era già in pista: gli organizzatori non avevano neppure fatto in tempo a pubblicizzare la manifestazione». Insomma, un campione capace di pedalare, da quel lontano 1924 al 1942, accanto (e spesso davanti) ai grandissimi del ciclismo: da Girardengo a Binda, da Guerra a Bartali, fino a incrociare un giovanissimo Fausto Coppi. Smette nel ’42, quando la guerra lascia poco spazio allo sport. E lì comincia un’altra storia. Il Gepin corridore, lascia il posto al Giuseppe Olmo imprenditore.

«Anzi – racconta Annabella Pascale – l’idea parte ancora prima che il nonno si ritiri dalle corse. Da tempo Vuole farsi le sue bici e nel ’39 il progetto prende corpo. Nasce la Olmo Cicli, a Celle Ligure. Poi, con la guerra, mentre tutti scappano dalle città, lui si trasferisce a Milano con la moglie e la figlia appena nata, per seguire un’altra strada: le gomme. E dopo la guerra va in Sudamerica, per studiare la produzione di caucciù». I tempi però sono cambiati e nonno Giuseppe non è certo tipo da restare indietro: dal caucciù ai materiali sintetici il passo è lunghissimo, ma non per lui. Risultato: nel 1955 è già “in pista” con i primi poliuretani e appena le schiume cominciano ad essere utilizzate nel mondo dell’arredamento lui è pronto all’appuntamento. Quello che nel frattempo è diventato il “Gruppo Olmo” sa subito sfruttare tutte le potenzialità del nuovo materiale e utilizzare tecnologie produttive all’avanguardia. “Negli anni ’60 – continua Annabella – è il boom dei poliuretani e l’azienda diventa il primo produttore in Italia e uno dei più importanti in Europa, con commesse in tutto il mondo e clienti di livello internazionale, a cominciare dalla Fiat, oggi Fca»,

Il ragazzino però non ha ancora finito di pedalare. È a caccia di altre attività di altre sfide. Il gruppo si allarga con nuovi marchi e si affaccia sul mondo del turismo, fra ville e vigneti.

Dai pedali alle vigne

Siamo negli anni Ottanta. «Io – ricorda Annabella – ero bambina. Il nonno diceva: prendiamo un pezzo di terra, ci darà sempre da mangiare. La terra non conosce crisi e concorrenza. Il vino è cultura, è un patrimonio tutto nostro». Una saggezza antica, che porta all’acquisto della Tenuta di Artimino. Una villa medicea, un borgo medievale, una distesa di vigneti e uliveti, il tutto a una manciata di chilometri da Firenze. «All’inizio ci fu da lavorare. La villa, che era stata bombardata, doveva essere ristrutturata. E anche il borgo non se la passava tanto bene. Ci sono voluti più di 10 anni di lavori». Che sono serviti a riportare allo splendore un gioiello in cui si incontrano secoli, millenni addirittura di storia. Artimino era abitata già in epoca etrusca: dagli scavi sono emerse due tombe, che si possono visitare nel contesto di una passeggiata tra i campi, con il loro corredo funebre, ora esposto in un piccolo museo, nel borgo. Tutto medievale, circondato da mura, arroccato su un colle, il borgo ora ospita 59 appartamenti di charme, in un “albergo diffuso” che porta chi vi soggiorna a immergersi nella storia e nella natura.

E poi c’è la villa medicea, patrimonio UNESCO, costruita nel 1596 come riserva di Caccia del Granduca Ferdinando I de’ Medici, proprio sulla stessa altura dove sorgeva l’abitato etrusco. «Ha scelto la posizione migliore, dove c’era un pozzo di acqua potabile, tuttora presente, e dove la vista poteva spingersi fino a Firenze». La villa, oggi trasformata in un lussuoso ambiente per ospitare grandi eventi, ha tante storie da raccontare. Da quella di Galileo Galilei che, «chiamato come precettore per il figlio di Ferdinando, teneva le sue lezioni proprio in queste sale», a quella di Leonardo da Vinci, che con queste terre aveva uno stretto legame, tanto che «nella cucina usata un tempo per la cacciagione, oggi ancora in uso per aperitivi e ricevimenti, si può ammirare un girarrosto disegnato proprio da Leonardo». Altre storie ancora sono quelle raccontate dai vini prodotti nella tenuta. «nel borgo c’erano le cantine, le botti, si faceva già il vino. Noi abbiamo spostato le cantine per fare spazio all’ospitalità, ma molti dei nostri vini sono espressione di questa storia e di questa terra.

Ad esempio il Carmignano, la DOCG più antica d’Italia, anche se piccolissima. La sua produzione era tutelata già da Cosimo III de’ Medici. Era l’unico vino a contenere una determinata percentuale di cabernet, vitigno che secondo la storia “ufficiale” è arrivato in toscana in epoca recente con Antinori. In realtà era già presente su questi territori nel Cinquecento, con il nome di “uva Francesca”, portato qui dalla Francia da Caterina de’ Medici». Un blend antichissimo, dunque, il primo vero “super tuscan”, ma non certo l’unico vino prodotto nella tenuta, dove nascono Chianti, Vin Ruspo e Vin Santo.

Anche questa volta l’impegno e la lungimiranza di nonno Giuseppe hanno dato frutto. «Peccato – commenta Annabella – che il nonno si sia goduto poco la bellezza della tenuta. È mancato nel 92, quando i lavori erano terminati da poco, ma era sempre immerso nel lavoro: come tanti uomini della sua generazione era capace di sacrificio e dedizione in un modo che oggi sembra essersi perso».

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