Nei giorni scorsi, David Sedaris ha usato una similitudine disgustosa, ma efficace, per scherzare sugli elettori indecisi tra Donald Trump e Joe Biden: è come se davanti alla scelta tra un piatto di pollo e uno di cacca e vetri rotti vi fermaste dubbiosi a chiedere com’è stato preparato il pollo.
Perché i dubbi dell’ala più di sinistra, ripartiti dopo l’annuncio di Kamala Harris come vicepresidente di Biden, sono tornati un argomento di discussione. E allo stesso modo sono ripartiti gli avvertimenti di chi crede che concentrarsi su quei temi definiti “settari” possa allontanare l’elettorato più liberal e centrista.
Non è solo una questione americana e non è solo una questione di politica. Ovunque, le polemiche all’interno dello schieramento progressista superano per violenza e intemperanza le polemiche con il fronte avversario.
Maria Laura Rodotà ha, spontaneamente, diradato la sua presenza sui giornali dopo essere stata per anni una delle ragioni per cui venivano comprati, ma non per questo è meno attenta a cosa sta accadendo e dice: «Se Biden diventasse presidente e non iniziasse una stagione di riforme stile New Deal, dell’economia, della sanità, della giustizia e dell’istruzione; se si producesse in un moscio equivalente del nostro Prodi bis, succederebbero disastri da subito».
Quindi Kamala Harris. Nella stessa giornata Trump ha twittato che è un’esponente della sinistra radical e un’amica di Wall Street. Almeno una delle due è falsa. O entrambe?
Entrambe vere! Volendo. Per i trumpiani una progressista è un’estremista radical; e Harris, nei suoi voti, è il terzo senatore più a sinistra; batte Elizabeth Warren per sei centesimi di punto percentuale. Poi: non si diventa senatore nello Stato americano più ricco e popolato senza avere buoni rapporti con il potere economico. I due elementi producono una centrista. Ma una centrista guerriera felice, nera indiana e sorridente anche quando fa a pezzi gli avversari; senza fingere dispiacere femminile, godendo soavemente del massacro. Soprattutto per questo, come ricorda Ro Khanna, deputato della Silicon Valley e sostenitore di Bernie Sanders, “frantuma barriere e incarna il nostro futuro multietnico”. Al netto della valenza simbolica, Harris ha sconfitto le avversarie da subito per la competenza: è stata ministro della Giustizia di uno stato con quaranta milioni di abitanti, è stata troppo poliziotta ma anche questo in un’elezione può servire. E poi è una trascinatrice e una seduttrice (ho una moglie innamorata di lei, e la capisco).
Gli indici di gradimento di Trump e i sondaggi al momento sono impietosi, ma molti temono di rimanere scottati come nel 2016. Cosa potrebbe invertire la tendenza?
Biden rischia ai dibattiti. A volte è vago, può sembrare non lucido, potrebbero ripartire voci di un suo rimbecillimento. D’altra parte, nessuno è galvanizzato dalla sua corsa. Verrà votato, vago o no, perché non è Trump. Il problema sono le manovre repubblicane e trumpiane per sopprimere il voto. Il definanziamento-depotenziamento-rallentamento del servizio postale, manovra appena ideata dall’amministrazione per boicottare il voto via posta in tempi di pandemia, visto che gli elettori democratici credono nelle misure anti-contagio tre volte più dei repubblicani. In più, Trump promette di cantare vittoria comunque e o di denunciare brogli. Non sarà bello.
Dopo la sconfitta nel 2016, Hillary Clinton venne ingiustamente accusata di essersi occupata troppo dei diritti delle persone transgender. Ci sono rischi analoghi in questa occasione?
Hillary ha perso perché si è occupata solo di Hillary. E la questione trans è un ottimo modo di deviare la conversazione. Donne e uomini transgender sono bersagli facili. Sono anche cittadini con guai economici e problemi di copertura sanitaria, come la maggior parte degli americani.
Si è parlato moltissimo dei tweet di JK Rowling: in cosa sbaglia?
A twittare. Sono spaventata da questo risentimento senza fondamento. Secondo me ha ragione Rebecca Solnit, a scrivere che “le donne trans non sono un pericolo per le donne cis, ma noi siamo una minaccia per loro se ne facciamo delle fuoricasta”. Detto questo, non riesco a capire Rowling, né le presunte femministe italiane che criticano la legge sull’omotransfobia. Come se le donne trans svalutassero il loro apparato originario, boh.
Esiste in Italia la cancel culture?
Sulla cancel culture la cosa migliore l’ha scritta Francesco Cundari su Linkiesta: dopo aver avuto “la Controriforma senza… la Riforma protestante, la Restaurazione senza… la Rivoluzione francese” eccetera, in Italia assistiamo alla resistenza contro la dittatura del politicamente corretto, che da noi non c’è stata. E di cui avremmo, per un po’, bisogno. Se ne parla perché da noi – grazie anche a recenti innesti misogini, sovranisti e populisti – resiste un patriarcato gagliardissimo e dedito all’italica arte del catenaccio. Qui preventivo: ci sono maschi passivo-aggressivi in difesa e rocciosi stopper – supportati da pom pom girls – che marcano a donna chiunque obietti. Così si è evitata la cancel culture: quasi nessuno è stato cancellato, anche brevemente, anche solo da Twitter. Nessuno ha perso il posto per molestie o razzismi. Non c’è stata cancel culture perché il Grande Catenaccio ha strozzato in culla tutti i tentativi di #metoo nello show business e nei media, che son stati ridotti a #metuini, o #metucci.
Gli ultimi dati sulle vendite dei giornali lasciano poche speranze. Si parla molto di ricambio generazionale, ma sembra anche probabile che quando accadrà non ci sarà più alcuno spazio da occupare.
I nostri giornali di carta sono fatti per i residui lettori anziani da giornalisti spesso anzianissimi. Le loro edizioni digitali sono quasi tutte copie anastatiche dei giornali chiusi la sera prima. I lettori giovani sono in una forbice, un estremo di colti che segue il Guardian su Tiktok, e un altro estremo che su Tiktok guarda i video cretini che poi compaiono sulle edizioni online dei grandi giornali, minando il bisogno di seguirli. Molte testate online fanno un lavoro brillante, ma per informare servono soldi, preparazione, attenzione alle bufale. E un certo ottimismo, che ora scarseggia.
Lei ha rinunciato alla poltrona, come si usa dire orribilmente.
Senza un istante di rimpianto. L’eterosessualità e il giornalismo mi hanno dato belle soddisfazioni, ma non erano le mie cose.
Nel suo ultimo libro, Surviving autocracy, Masha Gessen racconta che anche gli Usa si stanno sovietizzando perché è sparita del tutto la realtà condivisa. Si può sperare sia un incidente di percorso o è un fenomeno che riguarda ogni paese?
Neanche la pandemia viene trattata come realtà condivisa, il che non rassicura.
Negli ultimi giorni, in Italia, si diffonde una totale fake news: il nesso tra Covid e migranti.
Gira da un po’. Era l’unico modo per rilanciare i migranti come capri espiatori. La gente a cui l’ho sentito dire lo ripete stancamente, però, senza la furia con cui parlavano di invasione e sostituzione etnica. Ora si attendono fake news anche peggiori, con l’autunno di crisi.
La brutale repressione della protesta in Bielorussia, dopo le elezioni truccate, è, praticamente, già scomparsa dai giornali e non pare aver mai suscitato particolare interesse.
Stavo per rispondere dolente e indignata. Mi son resa conto di non avere letto neanche un articolo sulla Bielorussia. Solo titoli, sommari e qualche passaggio di podcast. Faccio ammenda, come tanti mi sentivo giustificata in quanto sincera democratica sostenitrice di default dell’opposizione bielorussa. Certo, se sui media ci fossero reportage di prima mano e ben scritti, e analisi geopolitiche di livello, qualche anziana acculturata come me tornerebbe a pagare per i giornali. Mi raccomando: mettiamo gli asterischi per i plurali.
Ok, anzian* e acculturat* come te. Al momento l’unica cosa che sembra appassionare gli italiani è la caccia ai parlamentari che hanno chiesto il bonus senza averne bisogno.
Non ho letto neanche un articolo e non mi sento in colpa come per la Bielorussia.
Non è stata rispettata la privacy, d’accordo, la legge era scritta male, d’accordo anche questo, il referendum non migliora la rappresentanza, molto probabile. Ma è giusto accusare di populismo ogni protesta?
No. Casomai, sarebbe giusto psicanalizzare il cialtronismo italiano di massa e di vertice, che avvicina élites e popolo garantendo a ognuno qualche piccola porcheria in condizioni di impunità relativa. Bisognerebbe psicanalizzare, elaborare e uscirne, ma non succederà.
Spesso i movimenti più radical vengono accusati di occuparsi troppo dei paesi occidentali – che pur tra mille difetti sono già i luoghi più sicuri per le minoranze – e risparmiare le critiche ai paesi meno liberi.
È difficile essere attivi contro una dittatura centroasiatica, da, mettiamo, Bari o Boston o Stoccarda. Viene naturale, senza essere estremisti, mobilitarsi negli Usa per i bambini dei migranti separati dai genitori e messi nei lager trumpiani ai confini col Messico; o in Italia simpatizzare per Carola Rackete contro Salvini al Papeete. Tra l’altro: se ci si occupa troppo di Paesi lontani, la sinistra viene accusata di astrusa distanza dai problemi reali. Ce n’è sempre una, e in tutto lo spettro progressista, primi i democratici americani finiti a schierare il più aggravato dei loro candidati, non si riesce mai bene a rispondere alle critiche.
Dalla pandemia uscirà qualcosa di buono?
Noi Marie Antoniette pandemiche ne siamo uscite più serene e consapevoli, meno consumiste, e cuoche migliori. Ma intorno a noi crescono i disoccupati, chiudono i negozi, aumentano ansia e depressione. Per questo cerchiamo di stare zitte. Molti Mariantonietti non smettono di sdilinquirsi sulle meraviglie del lockdown nella casa di campagna. Sarebbe una piccola consolazione se venissero cancellati, anche solo per dieci giorni, anche solo un po’, almeno secondo me.