Sono contraria alla personalizzazione dei pezzi giornalistici: ma per questa volta mi prendo una deroga, e spero non me ne vorrete.
A casa la cucina era una noia da gestire in fretta: la mamma lavorava, non ha mai avuto la passione per i fornelli e continuo a pensare di aver scelto questo lavoro proprio per merito del suo disinteresse gastronomico.
Ma nonostante questa ritrosia per ricette e affini, due cose non mancavano in libreria: i numeri di Natale della gloriosa Cucina Italiana, capolavori di bellezza, e una copia malmessa per il troppo utilizzo del Contaminuti, Libro di Cucina per la Donna che lavora, di Elena Spagnol.
E dopo aver passato l’infanzia a correggere con la penna le ricette sul librino del Dolceforno, mio primo ingresso nell’editoria enogastronomica, la passione per questo settore si è fortificata sfogliando le pagine consunte di quello che è a buon diritto considerato uno dei libri femministi per eccellenza. Scriveva lieve, la signora Spagnol – da nubile Vaccari – e con la sua determinazione e il suo piglio riusciva a rendere qualsiasi ricetta un racconto leggero, semplice, che faceva apparire la cucina come un gioco praticabile da tutti. Ma soprattutto: metteva al centro il tempo. Al contrario di ciò che facevano gli altri divulgatori, non voleva spiegarci come facevano gli chef: al contrario traduceva semplificando le procedure necessarie a portare in tavola una buona cena senza perdere tempo, senza troppa tecnica, ma senza mai peccare di sciatteria.
È mancata venerdì, e con i suoi 20 libri di ricette e più di un milione di copie vendute, ha raccontato l’Italia delle donne che lavoravano meglio di tanti saggi.
Rileggendo le sue ricette scopriremo come si è evoluta la cucina, e come il ruolo femminile si è modificato nel tempo, senza mai perdere la linea matriarcale che lo caratterizza da sempre nelle case del nostro Paese. Con buona pace degli star chef.