Al Nazareno è già tempo di chiedersi, anche perché stanno uscendo i primi sondaggi non esattamente incoraggianti (sconfitte in Liguria e Marche, secondo Roberto D’Alimonte), quali valutazioni fare sui possibili risultati. Da quello che si può capire, il Pd considererebbe un buon risultato un 3 a 3, aggiudicandosi le regioni più popolose, Toscana, Campania e Puglia pur cedendo le Marche alla destra. In pratica, il confine fra vittoria e sconfitta passerebbe per quel Michele Emiliano che per il Pd è stato più spesso un problema che una risorsa, ma tant’è.
Più complicata la situazione nel caso Emiliano cedesse e il risultato finale fosse 4 a 2 per la destra. Ora, sotto il tendone del circo equestre del politicismo non mancherebbero i politici di professione pronti a teorizzare che date le circostanze generali si tratterebbe di una sconfitta annunciata, evocando l’ambiguità di un M5s che prima dice di allearsi e poi non lo fa e l’inesistenza sostanziale di LeU e Italia viva (dove è alleata).
A quel punto, che farebbe Nicola Zingaretti? Difficile dirlo, stante anche una certa imprevedibilità dell’umore del segretario. Ma egli stesso tempo fa si è lasciato sfuggire con qualcuno che potrebbe spiazzare tutti dimettendosi, magari per entrare al governo.
Ma a quel punto cosa succederebbe? Sembra difficile pensare all’ennesima reggenza, soluzione in sé molto debole. E infatti lo stesso potenziale”reggente, Andrea Orlando, fu contrario quando, secondo una precisa indiscrezione, mesi fa il segretario minacciò di dimettersi e lui lo fermò con atteggiamento diciamo così molto fermo.
L’ipotesi dunque più verosimile è che, con qualunque risultato (a meno di una catastrofe) il segretario resti al suo posto, ma in caso di 4 a 2 evidentemente più indebolito e molto condizionato dalle varie componenti interne. Le spiegazioni di un risultato negativo, oltre a quella di un sistema di alleanze scritto sulla sabbia, riguarderebbero anche la storia del referendum sul taglio dei parlamentari che sta diventando un calvario, perché, al di là dei sofismi dei giuristi, la questione è chiaramente politica: se cioè sia giusto scambiare un’amputazione della rappresentanza con la stabilità del quadro politico in vista magari della conquista del Quirinale nel 2022 e il sicuro mantenimento dei ministeri nel gabinetto Conte.
La domanda è implicita in tutti i pronunciamenti per il No e il Pd, che come San Pietro disse tre volte No in un altro quadro politico, quando cioè era fuori dai ministeri mai più pensando di potervi in questa legislatura tornare (chi poteva prevedere il Papeete?) ha qualche difficoltà a rispondere. Ma dunque una cosa è sbagliata se sei all’opposizione e giusta se governi?
È un rovello morale che sta interrogando molti elettori del Pd. Lo sa bene Zingaretti che sta sudando sette camicie per indorare una pillola che non va giù a molti mediante cervellotiche e insufficienti richieste di correttivi che sono solo in mente Dei.
Non è da escludere pertanto che la questione morale sottesa al pasticcio combinato da Zingaretti sul referendum possa persino alienare qualche voto già alle Regionali, con la conseguenza di un fastidioso incrocio fra la ferita morale sul referendum dovuta all’opportunismo filogovernativo e una eventuale brutta performance alle Regionali (da vedere anche i voti di lista: per ora i sondaggi segnalano un arretramento persino rispetto alle Europee dell’anno scorso). Un incrocio pericoloso per il segretario. Sperando che lo salvi Michele Emiliano…