Intimoriti, costretti al silenzio, ostacolati in ogni modo e, sempre più spesso, incarcerati. Soprattutto dopo il 9 agosto, quando i risultati (scontati) dell’ultima tornata elettorale hanno riempito le piazze di Minsk. Essere un giornalista, nella Bielorussia di Aleksandr Lukašenko è complicato e a dimostrarlo non sono soltanto le decine di segnalazioni delle ultime ore, che parlano di espulsioni, detenzioni arbitrarie e revoche dei permessi necessari per svolgere le attività da reporter, ma anche i numeri. L’ultima dittatura in Europa è uno dei luoghi meno sicuri per la stampa. Secondo quanto segnalato da Reporters without borders, la Bielorussia, nel 2020, si è posizionata al 153° posto su 180 Paesi (la Corea del Nord è il Paese peggiore dove esercitare questa professione), per quanto riguarda la libertà di stampa.
Le prime segnalazioni
Solo nelle ultime ore, infatti, le autorità di Minsk hanno revocato decine di accrediti ad altrettanti giornalisti della stampa estera, inviati nel Paese per raccontare tutte le proteste in corso. Il 29 agosto, secondo quanto segnalato dall’Associazione dei giornalisti bielorussi, i permessi, rilasciati dal ministero degli Esteri, sarebbero stati ritirati ad almeno 17 professionisti, inclusi due reporter di Reuters, due della Bbc e quattro di Radio Liberty (fermati mentre riprendevano le immagini delle dimostrazioni di piazza). Il portavoce della diplomazia bielorussa, Anatoly Glaz, ha dichiarato che la decisione è stata presa sulla base di una raccomandazione della Commissione interministeriale per la lotta all’estremismo e al terrorismo, ma non ha chiarito l’esatto numero delle revoche.
Intanto, un giornalista della Deutsche Welle è stato trattenuto e poi rilasciato e due addetti ai media dell’emittente polacca Belsat risulterebbero ancora scomparsi. In base a quanto riferito dall’agenzia di stampa russa non governativa Interfax, le autorità di Minsk avrebbero arrestato anche Alexander Vasilievich, uno dei fondatori delle testate online Kyky.org e The Village Belarus (dopo il suo fermo, come confermato dal centro per i diritti umani Viasna, la polizia avrebbe perquisito i suoi uffici).
La denuncia di Amnesty International
Secondo quanto ricostruito da Amnesty International, nelle ultime settimane, uomini in uniforme scura senza contrassegni avrebbero chiesto ai giornalisti di vedere i permessi, li avrebbero trattati con violenza e, in qualche caso, picchiati, danneggiando il loro materiale. Durante il primo giorno di proteste, agenti in divisa mimetica avrebbero sparato proiettili di gomma contro Natalia Lubneuskaya, giornalista di Nasha Niva (una delle poche testate indipendenti del Paese), ferendola a una gamba. Successivamente, avrebbero riferito di essere stati attaccati anche Vadzim Zamirouski, Darya Burakina e Usevalad Zarubin, di Tut.by, uno dei siti più letti in Bielorussia. Poi ancora Nadzeya Buzhan, Uladzislau Baryasavich, Syarhei Ptushka, Pavel Patapau e Ivan Murauyou della polacca Belsat.
La denuncia di AP
Anche due inviati dell’Associated Press, con sede a Mosca, sono stati espulsi dal Paese e il governo bielorusso ha deciso di annullare gli accrediti stampa al personale locale dell’agenzia internazionale. La mossa del leader che dal 1994 detiene il potere assoluto in tutto il Paese non è però passata inosservata e AP, tramite Lauren Easton, ha denunciato “con la massima fermezza” quello che definisce un «palese attacco alla libertà di stampa». L’agenzia, in queste ore, ha chiesto al governo di Lukašenko di ripristinare le credenziali dei giornalisti indipendenti e consentire loro di continuare a effettuare il loro lavoro. Che è quello di raccontare i fatti. Ma per adesso, nulla è cambiato.
La preoccupazione della Germania
La sera del 28 agosto, tre operatori di una troupe dell’emittente pubblica tedesca ARD sarebbero stati arrestati davanti al loro albergo sempre per la stessa ragione: documentare le proteste. Si tratterebbe di un cameraman e di un assistente alle riprese di nazionalità russa (espulsi e con il divieto di rientrare nel Paese per i prossimi cinque anni) e un producer bielorusso. «Questo attacco alla libertà di stampa è un altro passo pericoloso verso una maggiore repressione, invece del dialogo con la popolazione. Se un giornalista è detenuto in modo arbitrario, senza nessuna base legale, o gli è impedito di svolgere il lavoro attraverso il ritiro dell’accredito, questo è assolutamente inaccettabile», ha detto Heiko Maas, il ministro degli Esteri tedesco, convocando l’ambasciatore bielorusso per una protesta formale.
Perché è difficile essere un reporter (bielorusso)
Ma se nella Bielorussia di Lukašenko, a fare più rumore al momento sono le denunce dei giornalisti stranieri e delle testate in cui operano, i reporter locali (da sempre) lavorano con enorme difficoltà, perché sottoposti a pressioni continue o a brevi periodi di detenzione. Ma c’è di più. Chiunque voglia lavorare per la televisione di Stato, per esempio, deve essere consapevole del suo ruolo nel mondo, visto che l’emittente pubblica rappresenta una diramazione del potere politico. Il risultato elettorale, che ha avviato il sesto mandato presidenziale dell’ultimo dittatore d’Europa, però, ha scardinato qualcosa. E non soltanto nelle strade o nelle piazze.
Molti giornalisti e volti noti della tv, per esempio, hanno scelto di lasciare il proprio posto di lavoro perché troppo in conflitto con la loro coscienza. È il caso di Vadim Shundalov, cronista 31enne che a metà agosto si è licenziato da Belarus Today, dopo l’uccisione di Alexander Taraikovsky, a Minsk. Alle testate internazionali ha motivato la sua decisione dicendo di essere stanco di dover riportare soltanto menzogne. Una vicenda molto simile è accaduta a Sergei Kozlovich, volto popolare dell’informazione, che si è dimesso dal suo incarico nella tv pubblica e ora teme di essere arrestato.
Un lavoro “eroico”
«I giornalisti in Bielorussia stanno svolgendo un lavoro eroico per far sapere al mondo la brutale repressione operata dalle autorità. È orribile osservare fino a che punto il governo si spingerà per sopprimere queste informazioni, attaccando i reporter con manganelli e proiettili di gomma, distruggendo le loro attrezzature e mandandone dozzine in prigione», ha dichiarato Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale, sottolineando la costante pressione cui vengono quotidianamente sottoposti gli organi di stampa. Come ricordato dalla ong, Minsk, attaccando continuamente l’attività dei reporter, violerebbe il diritto alla libertà di espressione.
Nelle settimane successive alla ri-elezione di Lukašenko, il governo avrebbe anche disabilitato internet più volte, oscurando i siti, probabilmente per impedire ai cittadini di diffondere informazioni o immagini. «Poiché un numero senza precedenti di persone continua a scendere in piazza, è essenziale che la libertà di stampa sia protetta e che nessuno sia danneggiato semplicemente per svolgere il proprio lavoro», ha concluso Struthers.
Il caso Sviatlov e “Nexta”
Fuori dai confini bielorussi, un 22enne “esiliato” in Polonia è motivo di reale preoccupazione per il presidente Lukašenko. Si chiama Stsiapan Sviatlov e con la sua creatura, che ha chiamato “Nexta” (che in lingua significa “qualcuno”) aiuta migliaia di oppositori, diffondendo le immagini tramite Telegram delle proteste, pubblicando i loro video e garantendo copertura dei fatti. Il canale ha più di due milioni di follower e il suo ideatore, sui suoi social, ne ha ancora di più. Sviatlov, in Polonia dalla Bielorussia, ci è arrivato nel 2015, per studiare all’università di Katowice.
Lì ha creato “Nexta”, che all’inizio doveva essere semplicemente un canale YouTube di musica, ma che, nel tempo, è diventato un mezzo alternativo di comunicazione, grazie alla diffusione di notizie legate al potere di Minsk. Un primo tentativo di offuscare il suo canale si verificò nel 2018 e fu proprio in quel momento che il blogger ha spostato il materiale altrove (su Telegram, appunto). “Nexta” non produce informazione normale, anche perché la sua redazione è a Varsavia e nessun giornalista dalla Bielorussia può confermare (o investigare) su quanto viene inviato alla testata tramite smartphone e telecamere di fortuna.
Il sistema, quindi, ha dei limiti evidenti, ma è oggettivo che sia considerato uno strumento utile per chi protesta. Dopo il 9 agosto, Sviatlov e i suoi collaboratori hanno ricevuto migliaia di messaggi al giorno e il 22enne conferma che la validità dei contenuti dipende anche dal fatto che chi li manda è un testimone diretto di quanto sta accadendo in Bielorussia. Percepito come una risorsa per i dissidenti, il blogger esiliato dichiara di essere costantemente minacciato ed è consapevole che un suo eventuale ritorno in patria, almeno al momento, non è possibile. Né consigliabile. Rischia diversi anni di carcere e una vita complicata.