Il piano di riforme che l’Italia dovrà presentare per usufruire della dotazione del piano NextGenerationEU, gli ormai noti 209 miliardi di euro assegnati al nostro Paese, dovrà essere coerente con le raccomandazioni che ogni anno la Commissione europea indirizza agli Stati membri. Ma il processo tramite cui queste raccomandazioni vengono elaborate, sviluppate e trasmesse non gode di stima incondizionata all’interno delle istituzioni europee.
Il Semestre europeo, cioè il ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio dei vari Stati da parte della Commissione, lascia ancora parecchie perplessità negli addetti ai lavori.
A cosa serve il semestre europeo?
L’obiettivo del Semestre europeo è quello di sorvegliare la politica economica degli Stati, coordinandone le linee di intervento, con un focus particolare su riforme strutturali, bilancio e prevenzione di eventuali squilibri macroeconomici.
È un processo lungo, che coinvolge diversi attori: la Commissione europea comincia la sua valutazione negli ultimi mesi dell’anno, basata sui singoli bilanci di quello precedente, e stipula un’analisi della crescita annuale e un draft di raccomandazioni per ogni Paese. Nel gennaio successivo la valutazione passa ai ministri riuniti nel Consiglio dell’Unione e poi, con la possibilità per il Parlamento europeo di fornire pareri non vincolanti in materia di occupazione, al Consiglio europeo.
La primavera serve a definire obiettivi e priorità dei singoli Paesi, attraverso un dialogo bilaterale con la Commissione. Dopo questo confronto, la Commissione stessa formula raccomandazioni specifiche per i programmi economici nazionali, che devono passare per il doppio voto del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo.
In questi sei mesi vedono la luce le indicazioni definitive di cui gli Stati dovranno poi tenere conto nel bilancio dell’anno successivo: è il 15 ottobre la data fatidica in cui va presentato a Commissione ed Eurogruppo (cioè il consesso dei ministri delle finanze europei) il documento programmatico di bilancio, una sorta di anticipo e sintesi della legge di bilancio.
Qualora le raccomandazioni della Commissione non vengano seguite, esiste la possibilità di chiedere modifiche e, come extrema ratio, un impianto sanzionatorio che colpisce direttamente il Paese inadempiente.
Le sanzioni vengono stabilite dalla Commissione stessa tenendo conto di vari parametri, tra cui il rapporto deficit/pil o la bilancia dei pagamenti fra entrate e uscite dello Stato.
In questo modo, teoricamente, le istituzioni comunitarie si assicurano che nessuno dei Paesi faccia ricorso eccessivo all’indebitamento o abbia squilibri irreparabili, ma anche che avvii riforme e investimenti adeguati.
Teoricamente, appunto, perché nella prassi queste indicazioni non sempre sortiscono gli effetti sperati. Anche se la Commissione mantiene una valutazione complessivamente positiva di questo meccanismo, i giudizi esterni non sono altrettanto benevoli: gli obiettivi economici sono troppi e a volte in conflitto fra loro, il processo è un pericoloso mix tra valutazioni tecniche e orientamenti politici e la minaccia delle sanzioni per inadempienza non è credibile, prova ne sia il fatto che al momento non sono mai state imposte a nessuno degli Stati Membri.
Come si evince da un recente report sull’argomento, richiesto a due esperti dell’università di Helsinki dalla Commissione Econ del Parlamento europeo, il Semestre europeo avrebbe fallito molti dei suoi obiettivi.
Un meccanismo complicato e poco trasparente
Secondo questo rapporto, i problemi alla base del funzionamento del Semestre Europeo sono strutturali e riguardano sia il processo decisionale con cui vengono adottate le indicazioni, sia l’impostazione a esse sottesa: l’idea di costringere gli Stati membri, sotto minaccia di sanzioni, ad adottare politiche economiche spesso impopolari o osteggiate dai rispettivi governi.
Se il procedimento parte con elementi perlopiù tecnici formulati dagli uffici della Commissione, man mano che intervengono gli attori nazionali si fanno largo istanze di natura politica, che quindi rendono il Semestre europeo un pericoloso ibrido: le raccomandazioni sono “annacquate” dal confronto con gli Stati membri e al tempo stesso misure cruciali per la vita dei cittadini europei vengono decise da professionisti non eletti, in assenza di dibattito pubblico.
Questa doppia natura fa gioco anche ai governi nazionali, che possono chiamare in causa le imposizioni della Commissione nel presentare alle rispettive opinioni pubbliche ricette economiche sgradite.
Un altro nodo del processo è il sistema di voto nel Consiglio europeo: per approvare le proposte della Commissione le decisioni vengono valutate a “maggioranza qualificata invertita”. La maggioranza qualificata prevede il supporto del 55 per cento dei Paesi, con almeno il 65 per cento della popolazione totale, ma con il meccanismo dell’inversione la maggioranza serve per respingere una proposta e basta una “minoranza di blocco” (più del 45 per cento dei Paesi o più del 35 per cento della popolazione) per approvarla.
L’obiettivo della Commissione era quello di ridurre la discrezionalità nell’adozione delle raccomandazioni. E, una volta tanto, il Consiglio ha accettato di buon grado di lasciarle campo libero: per gli autori del report, Päivi Leino-Sandberg e Fernando Losada Fraga, ministri nazionali e capi di Stato sono ben contenti di non confrontarsi in discussioni logoranti e ridurre il Semestre europeo a un bilaterale fra esecutivo europeo e Stato membro. Anche perché la Commissione è la prima a cercare un compromesso nelle sue indicazioni pur di evitare lo scontro frontale.
L’occasione per migliorare
Quello del 2021 sarà il secondo Semestre europeo per la Commissione von der Leyen, che tra l’altro ha annunciato di voler coinvolgere di più il Parlamento europeo e allineare la cornice della sorveglianza economica europea agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Un modo per migliorare l’efficienza dell’intero meccanismo potrebbe essere l’inversione della prospettiva: non più (solo) minaccia di sanzioni per gli inadempienti, ma anche incentivi positivi per chi attua le riforme raccomandate.
Legare il rispetto delle raccomandazioni a un maggiore accesso al budget (per esempio quelli di coesione), potrebbe essere un passo avanti, anche se probabilmente destinato a scontrarsi con la percezione nazionale che i fondi europei siano sostanzialmente diritti acquisiti e non premi da guadagnarsi con una politica economica oculata.
Le sanzioni potrebbero divenire efficaci solo se modificate nella loro natura: non più strumenti di legislazione secondaria discendenti dal Patto di Stabilità e Crescita, come sono ora, ma conformi alla procedura prevista nei trattati, con previo deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Infine, i professori dell’ateneo finlandese chiedono che il Consiglio europeo si assuma la responsabilità politica delle scelte, legittimandone l’adozione: la Commissione europea dovrebbe limitarsi ai dettagli tecnici e non entrare in trattativa con i governi nazionali.