Par di capire che il problema sia il cappellino. Anche la pedofilia, ma più il cappellino.
Riassunto delle ultime distrazioni di massa.
In America hanno cominciato a trasmettere una serie diretta da Luca Guadagnino, We are who we are. È ambientata ad Aviano, nella base militare americana, e racconta i ragazzini figli degli ufficiali. (In Italia la trasmetterà Sky in ottobre).
Quando l’ho vista ho pensato: sai che scandalo, tutti i minorenni bevono alcolici, gli americani chi li sente. Mi sbagliavo: prima ancora della prima puntata, già dal trailer, a scandalizzare gli americani è stato il sesso. Nel trailer c’era un fotogramma di nudità, santo cielo, quattordicenni che si denudano, la morale, i costumi, la pedofilia.
Per capire questo specifico delirio bisogna essere introdotti al lessico cancellettistico, quella neolingua secondo cui “pedofilia” non significa ciò che significa – avere rapporti sessuali con bambini in età prepuberale – ma tutto ciò che è rappresentazione sessuale di minorenne.
Martin Scorsese, nell’universo cancelletto, è un pedofilo perché fa interpretare una prostituta a Jodie Foster tredicenne. (Chissà se qualcuno l’ha avvisato di questa imputabilità retroattiva).
Avevano appena finito di dare dei pedofili a quelli di Mignonnes, film Netflix in cui, poverini, avevano cercato di aderire a tutti i dogmi cancellettisti: regista femmina nonché d’origine senegalese, storia di ragazzina musulmana che vuole emanciparsi. Ma niente: se rappresenti la sessualizzazione d’un’adolescente sei pedofilo, l’ha deciso l’internet, il regno delle sfumature e della complessità culturale.
Le ragazzine francesi sono state presto dimenticate: la settimana scorsa Guadagnino ha dato un’intervista al New York Times, e nei commenti su Facebook erano già pronti a dire che sicuramente aveva il computer pieno di materiale pedopornografico, quel maniaco (la disinvoltura con cui l’internet ti diffama quando ha deciso che fai parte dei cattivi mi affascina sempre).
Tuttavia c’è un altro passaggio del ritratto di Guadagnino che ho trovato interessante. È la frase d’un attore della serie. Interpreta il militare padre di una delle protagoniste, lei alla ricerca della propria identità sessuale, lui repubblicano. La serie è ambientata nel 2016, e a un certo punto lui si fa recapitare due cappellini, per sé e per la figlia. Due cappellini di quelli rossi: Make America Great Again. Teneteli a mente, poi ci torno.
Il primo a spiegarmi che i cappellini trumpiani erano un problema fu Bret Easton Ellis, undici mesi fa. Lo stavo intervistando sul suo libro, Bianco, stavamo parlando della diffusa suscettibilità, e lui disse una cosa tipo: Ma basta con questa cosa che ti senti violato se vedi uno col cappellino MAGA.
Domenica Hbo ha trasmesso un notevole film televisivo che credo nessuno manderà in onda in Italia. Si chiama Coastal Elites, ed è la risposta a una domanda che in questi mesi si sono fatti tutti i cinematografari: come si farà a fare un film nei prossimi due anni? Puoi fare solo roba in costume, sennò come rappresenti il presente, con le mascherine, senza, col distanziamento, senza?
Loro hanno risolto con una combinazione abbagliante di velocità e bravura. Hanno scritto cinque monologhi strepitosi, li hanno affidati a cinque attori notevoli, e li hanno strutturati in modo che ci fosse una ragione per farli stare ognuno solo in una stanza, senza interazioni. La liberal che è stata arrestata per aver aggredito un repubblicano, e la telecamera cui parla è il poliziotto che la interroga; l’attore gay che fa una sessione di psicoterapia su Zoom; l’infermiera del Wyoming divenuta antitrumpiana dopo che le è morta una paziente ebrea; la nera ricca che videochiama un’amica; l’emancipata newyorkese nata in campagna che registra una delle sue lezioni di meditazione.
Forse il personaggio più interessante è la nera, che era all’università con Ivanka ma aveva deciso di perdonarle quella famiglia burina, e di recente il padre le ha detto «ci hanno invitato alla Casa Bianca», e l’ha portata con sé.
Lei racconta di Ivanka che cerca di convincerla a fare l’amica nera, cosicché lei possa finalmente essere accettata da quelli che la odiano, sembrare convincentemente inclusiva. Poi racconta che quando escono da lì – lei e il padre, che precisa essere assai più ricco di Trump, ragione per cui Trump guarda con più desiderio il padre che lei – domanda a papà cosa volesse Trump.
«Le cose che ai comizi dice di odiare, di non volere: New York. Il New York Times, smettere di mettersi quel cazzo di cappellino, essere ricco e potente senza essere considerato ridicolo. Vuole quel che è abbastanza sveglio da riconoscere ma non abbastanza da ottenere: vuole stile e disinvoltura e alzarsi da tavola senza briciole addosso, come le élite della costa. Perché pensi che ce l’abbia tanto con Obama?». Perché Obama è cool, certo. E lui tragicamente uncool. Ma non è più strano che noi – democratici, inclusivi – consideriamo così imperdonabile avere il cappellino uncool?
A un certo punto in West Wing arrivò il più formidabile dei personaggi, un’avvocatessa repubblicana che serviva a far scrivere all’autore dialoghi in cui i punti di vista di destra e sinistra fossero sostenuti con eguale intelligenza. In una discussione sulle armi, l’avvocatessa diceva ai bravi guaglioni liberal della Casa Bianca che sì, c’erano tanti argomenti contro le armi, ma il punto non era mica quello: è che a voi non piacciono quelli cui piacciono i fucili. Quei burini. Altro che élite costiere.
La tizia che fa lezioni di meditazione, in Coastal Elites, racconta il dramma d’essere tornata dalla famiglia, in Maine, per il lockdown. Le era parsa una buona idea, ma l’hanno fatta ammattire: lo zio che diceva che Trump non era poi male, la mamma secondo cui il virus è una truffa, e tutti coi cappellini MAGA. I cappellini, principale impresentabilità americana di questo decennio: e dire che c’era un’ampia scelta.
La scorsa settimana, quindi, esce questo ritratto di Guadagnino sul New York Times. Nell’àmbito del quale viene raccontata la scena del cappellino, e quindi inserita la contrizione dell’attore che interpreta il militare. «Ho dovuto davvero scavare per trovare la motivazione del personaggio. È totalmente diverso da me e ha valori completamente diversi dai miei».
Sono tre giorni che ci penso. Che penso ad Anthony Hopkins che, durante la promozione del Silenzio degli innocenti, precisa di non esser solito, nella vita vera, pasteggiare con carne umana.
A De Niro che, intervistato per Taxi Driver, si premura di portare il certificato di sanità psichica. Ad Al Pacino che spiega a un intervistatore che Michael Corleone ha valori diversi dai suoi. Chissà quand’è cominciata, quest’epoca in cui se reciti una parte, e di mestiere fai l’attore, devi scusarti. Probabilmente in contemporanea a quella in cui, se dirigi una scena di sesso tra minorenni, sei pedofilo.