«Mentre cammino sul cavo lascio andare i pensieri e mi affido alla parte più selvatica e autentica di me, quella che mi permette risposte immediate, nel senso di istantanee e non mediate, perché in diretto contatto con il contesto, capace di fondersi con il cielo e l’acciaio, senza distinzione, di muoversi in armonia con ciò che mi circonda, accogliendo ciò che c’è, paura compresa». Le parole sono di Andrea Loreni, professione funambolo. Anzi, questo torineseclasse 1975 è l’unico funambolo italiano specializzato in traversate a grandi altezze.
Laureato in Filosofia teoretica presso l’Università di Torino, ha iniziato a praticare teatro di strada e ad approfondire le arti di strada alla Scuola FLIC della stessa città, per poi specializzarsi in tecniche di circo contemporaneo al Circus Space di Londra. Ha camminato su un cavo di 250 metri di lunghezza, a un’altezza di 90 metri da terra, stabilendo il record italiano di camminata su cavo, tra i colli di Penna e Billi in Romagna.
Tra le sue imprese più spettacolari: una traversata di 220 metri sul fiume Adda, una traversata con un’altezza massima di 160 metri tra i picchi di Rocca Sbarua (Torino), una traversata a 26° di inclinazione – da 0 a 30 metri – a Lodi.
Il disequilibrio è la sua palestra, il cambiamento la sua passione, l’accoglienza della paura del rischio la sua vita. E il funambolismo è il suo lavoro multiforme: è formatore per atenei, aziende e del gruppo italiano di funamboli che partecipa all’evento Wires Crossed a Galway in agosto 2020. È stato ospite di diverse trasmissioni televisive, protagonista del video musicale di Niccolò Fabi per la canzone “Solo un uomo e funambolo su cavo infuocato”, e nella scena finale del film di Matteo Garrone “Il Racconto dei Racconti”.
Come dice «La filosofia mi ha messo il dubbio» e grazie alla filosofia e al suo lavoro ha pubblicato due libri: “Zen e funambolismo” e di “Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento. Sette passi per attraversare la vita”.
Ma che cosa c’entra con una casa vinicola? Per scoprirlo bisogna guardare questo dialogo su Youtube, in equilibrio sul filo. È la prima puntata di “La via selvatica”, il nuovo progetto di Ceretto nato durante la reclusione forzata.
È Roberta Ceretto a ricordare l’origine del tutto: «L’idea nasce da due mesi complessi, è stato provante stare chiusi in casa. Man mano le giornate si allungavano ed erano sempre più belle il pensiero era fisso su che cosa potevamo fare noi. Ad un certo punto è arrivata l’illuminazione: portiamo noi le persone in giro virtualmente. Non facendo semplicemente le guide turistiche, ma provando a riempire i luoghi di contenuti. Abbiamo affidato il progetto a Matteo Caccia, che in quel periodo ci ha conosciuti meglio e ci ha svelato che a suo parare “selvatico” era la parola che ci poteva fare da guida. Ha sviluppato il concetto di selvatico nel senso di originale, e ha trovato dodici persone con storie particolari, scelte con cura perché fossero speciali ma non cariche di orpelli e sovrastrutture. Un po’ come Amelie, ne ha messo uno in ogni luogo nostro, dalle vigne, al ristorante Piazza Duomo, alla Cappella del Barolo, alla Casa d’artista, passando per le cantine della Tenuta Monsordo Bernardina e Bricco Rocche. E da lì è nato tutto».
Il progetto visuale è l’ultimo di una lunga serie di idee legate all’arte, che da più di vent’anni caratterizzano le attività della casa vinicola. Tutto nasce dalla Cappella di SS. Madonna delle Grazie, acquistata dalla famiglia Ceretto nel 1970 assieme a 6 ettari del vigneto di Brunate: costruita nel 1914 come riparo per chi lavorava nelle vigne circostanti in caso di temporali o grandinate, e mai consacrata, dopo anni di abbandono, si è trasformata in uno degli edifici più noti del territorio grazie alla reinterpretazione che gli artisti Sol LeWitt e David Tremlett ne hanno dato nel 1999.
Prosegue Roberta Ceretto: «La prima cosa fatta in questa direzione è stata completamente casuale: la chiesina è un progetto del 1999, nato perché nel 1996 avevamo conosciuto David Tremlett e l’abbiamo ospitato per un mese qui da noi. Siamo diventati amici e al termine dell’esperienza è stato naturale da parte sua proporsi e immaginarsi qualche cosa. Se devo dirti la verità non ci ricordiamo nemmeno se l’idea è nata da noi o da lui. Però subito dopo mio padre ha insistito perché lui coinvolgesse una seconda persona, e così è partito tutto. Però c’era un antecedente: noi avevamo da anni l’abitudine di ospitare, grazie al nostro Blangé, giornalisti e scrittori per presentare i loro libri in cantina. Già dalla fine degli anni ’80 le nostre cantine erano aperte non solo per degustazioni. Volevamo parlare in maniera più aperta del territorio, facendo capire quanto fosse bello».
Perché la valorizzazione di un territorio è un affare che richiede tempo, investimenti, idee e strategia. «Adesso parlare di Langhe è tutto sommato semplice: negli anni ’90 invece non c’era tutta questa attenzione. Questo è stato un po’ il punto di forza di mio padre: fare sinergia con un territorio straordinario da scoprire. Il mondo della cultura ti apre delle porte, perché ti permette di coinvolgere persone che si sanno mettere in gioco, che sanno leggere a fondo le situazioni. Inevitabilmente è nata l’idea di inserire arte e architetture qui, per creare del bello dove il bello già c’era. La chiesina è stato un esempio che tanti adesso guardano con affetto, mentre all’inizio veniva preso come un elemento disturbante all’interno di una natura secolare».
E adesso che nel mondo fisico si fa sempre più fatica a stare, ecco arrivato lo spunto che coinvolge il digitale, sempre con l’arte in mezzo: «Questi due mesi di chiusura sono stati quelli che ci hanno un po’ spinto ad investire di più su tutto quello che non è la persona, e ad aprirci sempre di più al digitale, che abbiamo esplorato tra i primi con il nostro sito. Ma vogliamo avere visitatori a girare per colline e cantine: anche se un video è bellissimo e le storie sono interessanti quando ti trovi di fronte al panorama del Barolo e del Barbaresco provi quell’elemento “wow” che nemmeno un film premio Oscar riesce a tirare fuori. Ma sicuramente questo periodo ci ha permesso di superare tante incertezze che avevamo: nel futuro ci sarà sempre di più la parte virtuale, anche se la parte reale per noi rimane la priorità».
E dal punto di vista della ristorazione? Anche in questo settore, la famiglia Ceretto ha fatto un salto determinante per il territorio: «Prima di Piazza Duomo (il ristorante della famiglia Ceretto, guidato dallo chef Enrico Crippa, nella piazza principale di Alba, ndr) sul territorio non c’era un tre stelle in una regione con una tradizione ristorativa molto importante. C’erano buonissimi ristoranti, Cesare per la bravura e la follia, Guido e Lidia a Costigliole, a Monforte c’era Felicin: ma non erano tanti e soprattutto non c’era un elemento iconico a cui tendere. C’era e c’è stata in generale un’enorme crescita dietro l’impulso di Crippa: tanti giovani si sono buttati a capofitto in questo settore, e oggi è difficile trovare un ristorante dove si mangia male. Noi abbiamo iniziato a pensarci intorno al 2000, quando acquistammo l’immobile che doveva ospitare i nostri uffici. L’idea si è fatta un po’ più chiara solo dopo, si sono definite le linee guida per creare un ristorante con un’offerta con la tradizione locale espressa al meglio ma con un’ottica diversa».
Perché il territorio non si può dimenticare: «Qui non puoi togliere alcuni capisaldi: viviamo in un mondo che parla di storia, con il vino che si produce in Langa il migliore abbinamento è la cucina di tradizione. Ma le Langhe sono anche un mondo legato agli imprenditori enologici che si sono fatti le valigie con le loro bottiglie, cercando di portare il loro prodotto all’estero, per farlo diventare conosciuto quanto le bottiglie francesi. Doveva essere un ristorante con una vocazione internazionale. Siamo stati fortunati ad imbatterci in Carlo Cracco: Carlo aveva un debito di riconoscenza nei confronti di mio padre, che l’aveva aiutato ad aprire il suo primo ristorante a Piobesi d’Alba. E così Carlo ci ha presentato Enrico, e da lì è nato tutto».
Il tutto di cui parla Roberta Ceretto fa ormai parte della storia della ristorazione del nostro Paese, con un giovane cuoco che ha rivoluzionato il modo di fare alta cucina, creando un filone che ancora oggi fa adepti, e ha regalato al territorio le ambitissime tre stelle Michelin.
«Noi abbiamo rischiato, investendo in un giovane ambizioso e di grandissimo talento, e in soli sei anni sono arrivate le tre stelle Michelin. È stato sorprendente anche per noi. Abbiamo cercato di creare una situazione in cui Enrico potesse concentrarsi solo sul suo lavoro, una fortuna che forse manca a tanti giovani anche promettenti. Lui si è adoperato a mettere tutta la sua attenzione verso un obiettivo, ha fatto il suo lavoro egregiamente e i risultati sono arrivati. Lui ha studiato ogni singolo spazio, ogni ricetta, ogni idea: non è una persona che divaga, incarna la precisione. E poi è uno di quelli che io definisco ‘baciati dal Signore’. E lavora con una squadra che nel tempo si è assestata. E anche la Piola (la trattoria sotto al ristorante tristellato, ndr) ormai è una solida realtà, con Dennis Panzeri che è l’alter ego di Enrico».
Una storia di pensiero strategico e di attenzione, che ha trasformato una zona e l’ha resa un riferimento per altre regioni e territori in cerca di valorizzazione.
I primi interventi del nuovo progetto saranno trasmessi e resi fruibili online (dal 12 settembre, ogni 12 del mese sul sito), e a partire dal 2021 il pubblico potrà finalmente assistere dal vivo agli incontri. Il programma è variegato: un funambolo, un paesaggista, una lupologa, un allenatore sportivo, un musicista, ma anche una chef, un meteorologo, una scrittrice, uno storico, un navigatore, un semiologo e un esploratore, in un percorso lungo un anno, riveleranno l’essenza più autentica dell’uomo, necessaria per essere nuovamente capaci di ascoltare la natura e vivere in equilibrio con essa.
La conclusione del progetto avverrà con un’esperienza a 4 mani con gli chef Ana Roš ed Enrico Crippa, impegnati a far scoprire il lato più selvatico della loro cucina.