Il gioco di equiparare i grillini e la Dc va di moda da un po’ di tempo a questa parte. Ma è un giochino, in realtà. Che Mario Lavia fa bene a smascherare.
Il punto è che i democristiani, con tutti i loro (i nostri) difetti ,avevano il culto della democrazia rappresentativa. E per quanto fossero divisi su mille questioni, su quel culto avevano idee e comportamenti rigorosamente comuni. Ogni accenno di spirito plebiscitario, ogni cedimento alla demagogia, ogni vagheggiamento populista veniva sanzionato a quei tempi con una rigorosa serenità. Magari quella stessa severità non veniva adottata in altre circostanze. Ma quando c’era da celebrare le virtù della democrazia parlamentare e dell’intermediazione politica non c’era leader democristiano che venisse meno all’appello.
I nemici ideologici venivano affrontati con rispetto. C’era il riconoscimento della loro funzione, pur dentro i conflitti dell’epoca. Ma quando sulla scena si affacciò il qualunquismo, che era il populismo dell’epoca, la risposta dei capi democristiano fu di una assoluta intransigenza. Forse perché quella sfida veniva in un certo senso da dentro, o almeno dai paraggi della Dc. Parlava al suo elettorato, insidiava il suo stesso insediamento. Sta di fatto con Guglielmo Giannini civettò un pochino Togliatti, mai con De Gasperi.
Ricordi lontani, si dirà. Ma se la storia deve servire a fornire esempi e pietre di paragone, allora andrebbe presa sul serio. Liberando tutti noi – eroi del presente e del passato – dagli equivoci che servano da equazioni di cui alla fine non torna mai il conto. Dunque, per quanto possibile, evitiamo paragoni impropri. Vanno di moda e fanno simpatia, lo capisco. Ma la politica ha pur sempre una sua logica, che sfida il tempo e la compiacenza. E fa bene Lavia a ricordarcelo.