Come previsto, il Sì antipolitico ha stravinto il referendum costituzionale per la riduzione dei parlamentari anche se con un margine meno plebiscitario rispetto alle condizioni di partenza, grazie anche a una vivace campagna social del No e alla palese vergogna che provavano quelli del Sì ad argomentare un’iniziativa nata in ambienti eversivi per scatenare la rabbia e il risentimento verso i partiti.
Le regionali sono state una specie di pareggio tre a tre, a quanto sembra, tra coalizioni squinternate che ricordano le squadre colabrodo del maestro Zeman. Il governo è salvo, Conte e Casalino hanno passato la nottata. Zingaretti temeva il cinque a uno e invece ha portato a casa un buon risultato, sia pure con presidenti come Emiliano e De Luca che non sono esattamente dei suoi. Salvini non potrà dare l’agognata spallata e il fronte liberal democratico è uscito con le ossa rotte in Puglia, così come – ed è la seconda volta dopo l’Umbria – l’alleanza strategica Pd-Cinquestelle in Liguria.
Luigi Di Maio è l’unico che può legittimamente fare il giro d’onore del campo di gioco, assieme a Marco Travaglio, con lo scalpo dei politici da poter offrire in dono alla folla assatanata di vendetta. Il Pd & The Reformists ora finalmente potranno dedicarsi a quello che hanno promesso di fare un anno fa, ma che hanno sempre rinviato alla settimana successiva, come si fa con la dieta senza carboidrati, e cioè potranno porre i famosi correttivi alla legge elettorale e ai regolamenti parlamentari, pena la tenuta, come dicono loro stessi, della democrazia rappresentativa, e poi naturalmente abolire i decreti sicurezza di Salvini, più la Quota cento e infine far diventare italiano chi è nato, ha studiato, vive e lavora nel nostro paese. Sono passati oltre trecento giorni da quelle promesse, ma c’è stata la pandemia e le priorità politiche comunque erano comunque quelle dettate da Fofò Dj di farci diventare la Germania dell’Est con le intercettazioni e i trojan, il Venezuela con panettoni, abiti e rete digitale di Stato, e provincia di Rousseau decurtando il Parlamento dei suoi rappresentanti.
Tutte le altre cose, dalla prescrizione alla spazzacorrotti a tutte le altre porcate da mozzorecchi, possiamo darle per perse, ma avendoci fatto cabasisi di una notevole dimensione sull’accelerazione riformista che il taglio dei parlamentari avrebbe avviato nel paese in teoria ci dovremmo aspettare una stagione di riforme bellissime, il sequel dell’anno bellissimo promesso non ricordo più se dal Conte uno o dal Conte due, come se ci fosse una differenza sostanziale tra Conte e Conte.
Naturalmente non ci sarà nessuna stagione di riforme, figuriamoci, e forse è anche meglio così perché conoscendoli potrebbero fare danni ulteriori dopo la mutilazione del Parlamento e l’abolizione della prescrizione, magari del genere di quelli preannunciati su Twitter dal responsabile economico del Pd, Emanuele Felice nel paese delle meraviglie, secondo il quale il reddito di cittadinanza è una figata pazzesca che non va criticato ma semmai ampliato ed esteso anche alle famiglie numerose e agli immigrati (forse intendendo per immigrati gli extracomunitari o magari i clandestini, vai a sapere, in ogni caso auguri).
Nonostante la favolosa sconfitta di chi ha provato a difendere la politica, anche quella analfabeta, la battaglia contro il declino populista dell’Italia non può e non deve fermarsi. C’è da difendere le fondamenta del nostro paese, arrivato causa Covid al capolinea delle sue contraddizioni: adesso abbiamo una sola possibilità per evitare il default economico e sociale e non possiamo sprecare il piano Marshall europeo preparato dai pochi leader lungimiranti e non nazionalpopulisti dell’Unione per sostenere la ricostruzione post pandemica delle infrastrutture, per la transizione green e digitale del sistema produttivo e per il ripensamento della sanità pubblica grazie al Mes.
In attesa che qualcuno riesca a rappresentare quel trenta-quaranta per cento di italiani che quattro anni fa hanno provato a riformare il paese e fino a ieri hanno cercato di attenuare l’assalto populista alla democrazia rappresentativa.