Pranzo à porterEsselunga e Coop scommettono sulla schiscetta

Le promozioni in corso dei colossi della GDO promuovono l’uso di set di prodotti per portarsi il pasto da casa, una scelta che fa riflettere su come il Covid stia cambiando i nostri comportamenti anche sul fuori casa

“I sapori di casa ovunque”, questo lo slogan che accompagna la promozione autunnale per i clienti possessori della Fidaty, la tessera fedeltà della catena fondata da Bernardo Caprotti.

Accumulando i bollini, peraltro abbinati agli ormai tradizionali Buoni scuola, sarà possibile acquistare, con un piccolo contributo, i prodotti della collezione denominata nutrifresh™, un set di articoli pensati per consumare il pasto fatto in casa fuori casa.

Il pasto di casa fuori casa sembra quasi un mantra e va riconosciuto che l’ufficio marketing del colosso della grande distribuzione abbia ben interpretato il momento e, al posto di una collezione di piatti, pentole, tovaglie, tutte sempre di marca e, senz’altro utili per la casa, abbia avuto un’idea più adeguata ai tempi, pensando a un set che definiremmo di sopravvivenza.

Idea, peraltro, avuta anche da Coop, con il kit Re.Generation, composto di contenitori per la conservazione del cibo, ma anche per il consumo fuori casa. Insomma, lo notiamo solo noi o chi ha pensato a queste collezioni ha colto un’esigenza che solletica dal profondo gli istinti all’acquisto di questo momento storico, una proposta che va al di là di una serie di oggetti che possono piacere o meno e stimolare la caccia al bollino per accaparrarseli. Dobbiamo ammetterlo il pensiero è molto sottile, magari un po’ cinico, ma efficace, visto che siamo di fronte a mesi in cui, chi non rimane a casa e continua a lavorare in modalità “remote working” (non dite più smart working che gli inglesi ci ridono dietro), si recherà in ufficio, per lavorare in presenza, ma con tante remore sull’uscire a pranzo. Ecco, dunque, l’intuizione degli esperti di marketing di Esselunga e Coop, molti non saranno ben disposti a consumare il pasto negli esercizi pubblici ove hanno sempre condiviso la pausa pranzo con colleghi, amici, ma anche tanti sconosciuti, tutti uno accanto all’altro in spazi spesso ristretti e affollati. L’idea è, dunque, di suggerire, un po’ sotto traccia, senza dirlo veramente, di restare in ufficio e mangiare in tutta sicurezza senza ulteriori contatti se non con i soliti colleghi che condividono lo stesso spazio tutti i giorni limitando, diciamolo apertamente e senza ipocrisie, perché in fondo è giusto così, finché non si sarà trovata una cura, le possibilità di trasmissione di contagio del Covid19; ecco, l’abbiamo detto!

Fin qui, nulla di strano e, aggiungeremmo, complimenti per la pensata.

Tuttavia, ripetendo una volta ancora il mantra “il pasto da casa fuori casa” non possiamo non osservare la cosa da un altro punto di vista. Questa azione, infatti, involontariamente è un ulteriore colpo alla ristorazione, proprio quella che sta soffrendo di più in questa fase, quella fascia di locali che, soprattutto nelle città medio grandi, punta tanto sulla pausa pranzo.

Ricordate quando il Sindaco di Milano, Beppe Sala, invitava a ritornare a lavorare?

Usò un’espressione che diede adito a un’errata interpretazione del suo pensiero, come se rimbrottasse i lavoratori delle città di smetterla di stare a casa a poltrire. In realtà il suo era un campanello d’allarme lungimirante, intendeva dire di interrompere gradualmente la modalità di lavoro da casa, ritornando a quella di lavoro in ufficio, perché, altrimenti, le città, in particolare i centri delle città, sarebbero rimasti deserti anche dopo il necessario periodo di quarantena e l’onda lunga che ne è seguita, giustamente, per contenere i contagi, diminuendo più possibile i contatti al lavoro, sui mezzi pubblici, nei locali, bar e ristoranti.

In effetti è quello che sta succedendo, i pubblici esercizi delle città se hanno ricominciato a lavorare discretamente nella fascia serale, anche grazie, peraltro, alle amministrazione locali che hanno dato la possibilità di mettere tavolini in spazi esterni prima inutilizzati senza il pagamento della tassa di occupazione, soffrono molto a mezzogiorno. Ciò perché, obiettivamente, tantissimi loro abituali clienti sono ancora in remote working e, se la sera escono per un aperitivo o per cena, a pranzo mangiano a casa o, come hanno colto Esselunga e Coop, non si fidano e mangiano in ufficio portandosi, come si dice a Milano, la schiscetta da casa. Insomma una fregatura, anche se, piano piano, e con tutte le precauzioni, si tornano a popolare gli uffici del centro, in verità molti, in quegli uffici, ci staranno tutto il giorno, senza uscire nemmeno per un caffè.

C’è da essere dibattuti, in fondo chi ha fatto questo pensiero non voleva certo creare un danno alla ristorazione, ha giustamente colto un’esigenza e l’ha soddisfatta, come dargli torto?

Chiudiamo questa riflessione, che in fondo voleva analizzare, apprezzandola, come nasce un’idea di marketing, con l’esegesi dei testi usati nella campagna promozionale che accompagna la raccolta di bollini Esselunga. Se, in apertura, abbiamo ricordato lo slogan “I sapori di casa ovunque” che vuole giocare su concetti di rassicurazione e comfort zone, perché, si sa, non c’è nulla di più buono di ciò che si cucina a casa, il messaggio successivo “Un sano stile di vita!” rafforza il concetto espresso con lo slogan, introducendo la parola che definiremmo chiave nella fase che stiamo attraversando.

La parola “sano” chiude ogni discorso, perché, a livello subliminale, non ci dice solo che è il pasto fatto da noi è buono, ma è sicuro, perché “sanificato”, insomma senza possibilità di contrarre un qualsivoglia virus. Inutile dire che è acclarato che il Covid non lo prendiamo mangiando, l’importante è il messaggio che il nostro cervello istintivamente registra, non ci può far male.

Ma non è tutto, perché il messaggio va oltre, toccando altri due concetti per i quali la sensibilità è aumentata moltissimo negli ultimi anni: il benessere e la sostenibilità ambientale. Perché, prosegue il testo, “I contenitori per alimenti nutrifresh™ rendono più semplice la preparazione, la conservazione e il trasporto dei cibi, consentendoti di cucinare sano e di ridurre gli sprechi. Funzionali, multiuso e pratici, sono realizzati con materiali di qualità per uno stile di vita sostenibile!”

Ebbene, a parte la ripetizione della parola “sano” che, seppur ridondante, è un modo per rabbonirci dicendoci che siamo bravi a cucinare, ecco le frasi “ridurre gli sprechi” e “stile di vita sostenibile!” Frasi che toccano nervi scoperti e ci fanno sentire cittadini responsabili. Anche qui, però, va osservato che i materiali, senz’altro di qualità e, certamente non monouso, sono di plastica, quindi, associargli i concetti di sostenibilità e riduzione dello spreco rischia di essere un ossimoro. Anche Coop strizza l’occhio alla stessa sensibilità, battezzando Re-Generation la sua operazione, scegliendo comunque plastica, sottolineando, però, come i materiali usati siano al 70% in plastica riciclata. Insomma non si nega, certo, il diritto all’esistenza della plastica e della sua importante filiera di produzione, specie se si parla di prodotti durevoli e riutilizzabili, resta, però, la constatazione che la pandemia, per motivi pratici e di sicurezza, ha interrotto anche in questo caso, un processo senz’altro lungo, ma importante per il pianeta, indicato anche dalla Commissione Europea, verso l’uso di materiali diversi.

In conclusione non si possono non apprezzare le due campagne, ma bisogna anche considerare il rovescio della medaglia di un’abitudine che, seppur rispettabile e comprensibile, cambierà per molto tempo il concetto stesso di pausa pranzo.

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