Uno vale zeroLa vera truffa dei partiti digitali è la loro democrazia a libertà limitata

Come spiega Paolo Gerbaudo in “I partiti digitali”, Il Mulino, il modello delle nuove realtà politiche sono le piattaforme social. Come quelle, spacciano per partecipazione quello che, in realtà, è solo un modo per controllare i dati degli utenti

Filippo MONTEFORTE / AFP

[…] Da questa rassegna risulta evidente che la democrazia online nei partiti digitali è fortemente controllata dall’alto e gli iscritti sono spesso relegati a un ruolo puramente reattivo.

Le forme di democrazia rappresentativa e plebiscitaria hanno un peso più rilevante rispetto alle forme partecipative. Le votazioni, che per loro natura implicano la scelta tra un numero limitato di opzioni, prevalgono quasi sempre rispetto alla discussione aperta che consente ai partecipanti di definire anche qualitativamente il contenuto delle proposte.

Se da un lato è vero che sono state sperimentate forme di deliberazione online, dall’altro è anche vero che queste pratiche sono incapaci di riequilibrare un processo decisamente sbilanciato in favore della leadership e dello staff di questi partiti, che rimangono responsabili della selezione e della formulazione dei contributi degli iscritti.

Le proposte inoltrate dalla base attraverso le funzioni Lex di Rousseau possono essere scartate dai vertici pentastellati qualora le ritengano non in linea con i valori o la strategia del movimento.

Per quanto concerne Podemos l’esistenza di una procedura vincolante (l’Icp) per il vaglio delle proposte provenienti dagli iscritti di per sé non può nulla di fronte all’elevata soglia di sbarramento (il 10%) prevista per la loro approvazione.

I referendum online si sono dunque rilevati poco più di una ratifica di decisioni già prese dalla leadership. Nel caso del Movimento 5 Stelle solo in due occasioni ci sono state «ribellioni» da parte della base: la prima in coincidenza della consultazione sull’abrogazione del reato di immigrazione clandestina; la seconda circa un referendum indetto per decidere se una delegazione del Movimento avrebbe dovuto incontrare Matteo Renzi durante le consultazioni per la formazione del suo esecutivo.

In entrambe le circostanze i membri si sono espressi contro la posizione esplicitamente sostenuta da Grillo e da Casaleggio, con una maggioranza del 63% nella prima votazione e del 50,5% nella seconda. Si tratta, però, di occasioni più uniche che rare, a conferma di come, in linea generale, i referendum online tendono a confermare la volontà della leadership.

Secondo Davide Bono, ex consigliere regionale piemontese del Movimento 5 Stelle nonché collaboratore del team impegnato nella gestione della piattaforma Rousseau, gli iscritti si allineano spesso alle decisioni prese dalla leadership in quanto «il movimento ha una forte identità collettiva».

Tuttavia, è evidente che questa situazione è anche il risultato dell’influenza esercitata dalla leadership sulla membership mediante diversi mezzi, come la scelta del momento in cui tenere le consultazioni, a volte annunciate a sorpresa e con un breve lasso di tempo a disposizione degli iscritti per votare; il modo in cui sono formulati i quesiti, al fine di influenzare il voto; e le campagne di opinione promosse dai vertici prima dell’apertura delle votazioni.

Simili accuse di chiusura e controllo sul processo si sono viste in altri partiti digitali, in occasione di vari appuntamenti elettorali, ad esempio nella polemica sull’uso di liste chiuse da parte di Podemos.

Questi risultati evidenziano che, sebbene i partiti digitali abbiano costantemente sbandierato l’introduzione di nuove forme di democrazia diretta e una maggiore sensibilità nei confronti ei membri, la pratica è alquanto contraddittoria.

La democrazia digitale di questi partiti è decisamente controllata dall’alto. Le votazioni hanno avuto la meglio sul dibattito e la leadership ha continuato a mantenere una salda presa sulla gestione delle consultazioni, mentre la base raramente ha dimostrato di godere di autonomia decisionale.

Questa situazione porta il già ricordato Davros David Puente a essere molto pessimista rispetto a una forma di democrazia in cui si «esprime un voto su qualcosa che è già stato deciso da altri». Siamo di fronte così non a una democrazia diretta, ma a quella che Nadia Urbinati [2013, 18] ha definito «democrazia rappresentativa diretta».

In questo contesto la democrazia salta tutte le mediazioni «ma senza alcun controllo sulle forme di questo raccordo, senza alcuna certezza procedurale che esso sia realizzato secondo regole che danno ai cittadini un potere censorio non aleatorio o invece secondo il ruolo preminente degli animatori in rete o, come nel caso del M5S, dei proprietari privati del blog» [ibidem].

Di fronte a quello che appare come un tradimento della promessa di democratizzazione avanzata inizialmente da questi partiti, non dovrebbe sorprendere che vi sia stato un calo significativo della partecipazione alle consultazioni online in diversi partiti qui analizzati. Nel caso del Movimento 5 Stelle, ad esempio, mentre nel 2012 l’affluenza media alle consultazioni online è stata del 60%, nel 2017 è scesa al 14% [Mosca 2018].

Sebbene Podemos non abbia registrato un calo così significativo, la partecipazione alle votazioni online è apparsa spesso deludente e non in linea con la crescita costante degli iscritti al partito.

Le leadership di queste formazioni politiche dovrebbero riflettere su questa tendenza alla scarsa partecipazione. E, soprattutto, dovrebbero farlo perché uno dei modi in cui la base esprime il suo scontento è «disperdendosi o rimanendo passiva di fronte a talune iniziative» [Gramsci 1975, vol. III, 1630].

È ovvio che se i membri si rendono conto che il loro voto non conta perché le decisioni sono già state prese a porte chiuse allora smetteranno di partecipare.fase di delusione è urgente ripensare in modo più realistico che cosa possa essere effettivamente ottenuto con la democrazia digitale ed elaborare meccanismi chiari e trasparenti di controllo dei membri sul processo decisionale per evitare interferenze che distorcano i risultati delle votazioni.

da “I partiti digitali. L’organizzazione politica nell’era delle piattaforme”, di Paolo Gerbaudo, Il Mulino, 2020