«La Cina è un partner negoziale, un concorrente economico e un rivale sistemico»: ad usare queste parole per descrivere la Repubblica popolare cinese è stata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 15 settembre.
Tali affermazioni, arrivate in un momento in cui i rapporti con la Cina sono sempre più tesi, lasciano presagire un ulteriore cambio di passo dell’Unione europea nei confronti del Paese asiatico, considerato allo stesso tempo partner con cui approfondire le relazioni economiche, per le sue dimensioni demografiche e capacità produttive, e rivale dal quale guardarsi le spalle, viste le sue ambizioni a livello globale.
Lo scontro diplomatico che negli ultimi mesi si sta consumando tra la cancelleria europea e quella cinese vede però coinvolto anche un terzo attore, rimasto per lo più silente: il governo di Taiwan.
L’isola intrattiene con l’Unione europea rapporti unicamente commerciali fin dal 1975, anno un cui l’allora Comunità europea decise di aderire alla cosiddetta One China policy riconoscendo Pechino quale governo legittimo della Cina a discapito di Taipei, con cui non ha instaurato relazioni diplomatiche ufficiali.
L’unico Stato in Europa (ma non membro dell’Unione) ad essersi schierato con Taiwan e ad avere quindi una rappresentanza sull’isola è la Santa Sede, mentre i singoli Paesi membri possono contare solo sulla presenza in territorio taiwanese di Uffici commerciali o culturali che si occupano del consolidamento dei rapporti economici e che funzionano come ambasciate informali.
Negli ultimi tempi però sembra che qualcosa stia cambiando nelle relazioni Taipei-Bruxelles. A settembre il presidente del Senato della Repubblica Ceca si è recato in visita sull’isola, scatenando le ire di Pechino; sul quotidiano francese Le Monde è apparsa una lettera firmata da nove tra eurodeputati ed esperti europei in cui si chiede a Bruxelles una revisione della One China policy; mentre il 22 settembre rappresentanti di quindici Stati Ue hanno partecipato al primo Forum per gli investimenti diretti organizzato per approfondire le relazioni commerciali tra Taiwan e l’Unione.
Dal punto di vista comunitario – come spiega a Linkiesta Nicola Casarini, responsabile di ricerca per l’Asia orientale presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) – si è assistito ad un intensificarsi delle relazioni con l’isola nei settori economico e culturale come risposta al deteriorarsi dei rapporti con la Cina, ma anche a causa della posizione anti-cinese adottata dal presidente americano Donald Trump.
«L’Unione europea in questo momento è sotto pressione da parte degli Stati Uniti, che chiedono a Bruxelles di mandare dei messaggi di apertura verso Taiwan», spiega Casarini. L’inquilino della Casa Bianca vorrebbe infatti un’Unione più assertiva sul tema taiwanese e più dura nei confronti della Cina, contro cui Trump si è schierato apertamente.
A spingere per un cambiamento nelle relazioni con Pechino e Taipei è anche la lobby pro-Taiwan presente in Europa e le cui richieste, spiega Casarini, sono ben viste «dal Parlamento europeo e dalla Direzione generale per il commercio della Commissione, che vorrebbe stipulare un trattato per il libero commercio con Taiwan» nonostante l’opposizione della Cina.
«Quello che mi aspetto è la visita – anche nel breve periodo – di un commissario europeo a Taiwan, come per esempio quello della Salute in virtù dell’ottima gestione della pandemia da parte di Taipei. Sarebbe un segnale importante, ma meno diretto rispetto all’atteggiamento assunto da Trump nei confronti di Pechino».
L’analisi fornita a Linkiesta da Stefano Pelaggi, Research Fellow presso il Taiwan Center for International Strategic Studies, è tuttavia meno ottimista. «Taiwan è un tema molto delicato nei rapporti con la Cina. L’Unione europea è il quarto partner commerciale dell’isola, ed è l’unica istituzione ad avere a Taipei una Camera di commercio – guidata tra l’altro da un italiano – ma Bruxelles non ha un ruolo effettivo nella definizione della One China policy a differenza di altri attori internazionali».
Inoltre, secondo Pelaggi, la stessa Taiwan guarda con cautela ad un avvicinamento diplomatico europeo perché difficilmente la Cina lo accetterebbe senza rispondere in modo aggressivo: «Taiwan vorrebbe ricevere maggiore attenzione a livello internazionale, ma preferisce procedere con estrema cautela».
Il timore per la reazione cinese è un fattore determinante anche nella definizione della politica italiana verso Taiwan. «Nonostante l’ottimo interscambio commerciale, la nostra rappresentanza sull’isola continua a diminuire e da parte di Roma non c’è una reale volontà di spendersi per l’isola», continua Pelaggi.
Le relazioni tra i due Paesi hanno tra l’altro registrato una battuta d’arresto durante la pandemia a causa della sospensione da parte dell’Italia dei collegamenti aerei con Taiwan, una decisione che ha avuto delle ricadute negative anche sul fronte commerciale. In termini più generali inoltre, spiega Pelaggi, nonostante la presenza «nel Parlamento italiano di una compagine più liberale che appoggia Taiwan (il Gruppo d’amicizia parlamentare Italia-Taiwan), ogni disegno di legge sui rapporti tra i due Paesi si arena a causa dei timori per la possibile reazione cinese».
Eppure, secondo Casarini, anche gli Stati considerati più vicini a Pechino – come l’Italia – potrebbero acconsentire ad un miglioramento delle relazioni con Taiwan o comunque non opporre resistenza ad un cambio di passo comunitario. «Se l’immagine della Cina in Europa dovesse continuare a deteriorarsi, Taiwan potrebbe diventare una carta da giocare per lanciare dei messaggi a Pechino. L’Unione europea potrebbe prendere iniziative che sarebbero state impensabili fino a qualche tempo fa».