The Race to Redesign Sugar – The New Yorker, 21 settembre
Nicola Twilley ha scritto il classico articolo che ci spinge a guardare il mondo del cibo di traverso, cercando un punto di vista in grado di farci pensare fuori dagli schemi (think outside the box!). La notizia di fondo è questa: sono sempre più numerose le compagnie e le start-up che stanno facendo ricerca, con investimenti sontuosi, per diminuire la quantità di zucchero aggiunto nei cibi processati, perlopiù snack e bevande, e contenerne anche l’apporto calorico, il tutto a parità di sapore. Dall’israeliana DouxMatok alla britannica Tate & Lyle e alla svizzera Nestlè è tutto un rincorrersi per cercare le alternative più vincenti, tra zuccheri “riprogrammati” e nuove metodologie produttive ed estrattive. Lascio all’articolo il compito di raccontare le strade intraprese più promettenti. Durante la lettura, però, è utile chiedersi, come giustamente fa l’autrice, cosa ci sia dietro a tutti questi sforzi. Sicuramente c’è la volontà di incontrare le richieste di un mercato che da un po’ di tempo, soprattutto sui cibi zuccherati, risulta più attento alle offerte salutiste. Ma non bisogna dimenticare la leva principale, quella che muove tutto: la necessità delle compagnie di non perdere profitti, anzi di incrementarli, e quindi di continuare a inondare il mondo di cibi processati dolci. Twilley pone alcune domande non evitabili: il nostro corpo si sentirà abbastanza sazio di zucchero anche con queste alternative o saremo spinti a mangiare ancora di più? E soprattutto, non è che come «l’unico sostituto giusto dello zucchero è lo zucchero, l’unico modo giusto per assumerne di meno è, tristemente, assumerne meno»?
Fat Chance – Heated, 23 settembre
A proposito di alimentazione, grassi, zuccheri e peso corporeo, qui Kevin Pang, ex scrittore gastronomico, racconta come la sua professione lo abbia portato a sviluppare un rapporto malsano col cibo, al punto che per voltare pagina e dimagrire ha deciso di cambiare lavoro, e mettere in discussione la sottile e incerta linea tra il mangiare per dovere e mangiare tanto per mangiare.
Un’intervista non freschissima, che tuttavia merita di essere condivisa e commentata, se non altro perché riporta una notiziona per l’Italia e per l’alta ristorazione danese allo stesso tempo, e perché dimostra che tanti dei temi affrontati dalla stampa di settore statunitense negli ultimi mesi hanno una certa rilevanza anche da questa parte dell’oceano. Rafael Tonon ha fatto qualche domanda a Christian Puglisi, che ha annunciato la chiusura di due sue famosissime insegne di Copenhagen, Relæ e Manfreds. All’origine di questa scelta non c’è il coronavirus, o meglio c’è anche un po’ di quello ma in misura soltanto parziale. Piuttosto Puglisi parla di spazi personali, di un mondo della ristorazione troppo competitivo, che consuma le persone che vi si dedicano. Con qualche tocco “piccante” su Michelin e World’s 50 Best Restaurants.
Razed and exposed, the restaurant industry is due for change – The Los Angeles Times, 17 settembre
Il critico Bill Addison riassume in un articolo molto ben scritto e argomentato tutte le sfide che questo 2020 ha posto e sta ponendo al mondo della ristorazione americana. Il cambiamento non è più rimandabile, e qui ci sono tutti i fronti con cui gli Stati Uniti del mangiare fuori dovranno confrontarsi.
How Risky Is Indoor Dining Now? – The Cut, 22 settembre
Negli Stati Uniti con l’arrivo dell’autunno, e in certe zone (tipo New York) con il parziale contenimento della pandemia, sta per tornare la possibilità di pranzare e cenare dentro i locali, chiudendo così la boccata d’ossigeno data dalla stagione dei dehor. Katie Heaney prova a spiegare quanto sarà o non sarà pericoloso farlo.