One-man bandChris Oberhammer, lo chef che balla da solo

Ha desideri precisi e ha scelto di raggiungerli in solitaria, pensando attentamente a ogni passo, a ogni ingrediente, mettendosi in ascolto di ciò che lo circonda, senza lasciarsi scalfire da cambiamenti improvvisi e imprevisti. Ecco chi è l’uomo delle Dolomiti, alla guida del Tilia

Chris Oberhammer ha una stella Michelin, guida un ristorante – il Tilia di Dobbiaco, piccolo paese nel cuore delle Dolomiti – che più che un ristorante è una gemma preziosa, sorride sempre e non se la mena per niente. Il che è una specie di ossimoro, un po’ come dire che un politico è in gamba, onesto e non ruba. Bando alle figure retoriche, torniamo a lui. Oberhammer, classe 1973, dopo aver collezionato esperienze in giro per l’Europa (in Belgio, al Maison du Bouef di Bruxelles; a Montecarlo, alla corte di Alain Ducasse, al Louis XV) e dopo aver gestito il Ristorante Tilia a Vandoies, nello storico Ansitz Baumgarten, che sotto la sua guida ottiene la seconda stella, nel 2010 rileva l’ex bar del Grand Hotel di Dobbiaco, un cubo in vetro, acciaio e cemento a vista, e trova una nuova casa per il suo Tilia. Sottolineo suo, perché non potrebbe essere altrimenti: sedici coperti – ora diventati dodici per le ragioni che tutti conosciamo – in un ambiente elegante, ma allo stesso tempo intimo, tra dipinti, sculture, luci soffuse e morbide poltrone, il parco e le montagne intorno, il Grand Hotel di Dobbiaco affianco, che sembra un po’ il Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.

Essere ospiti di un caro amico, ecco cosa significa concedersi un pasto qui. Un caro amico profondamente innamorato del proprio territorio e delle proprie radici, che rispetta ed esalta in ogni preparazione. Un caro amico che, inoltre, in cucina balla da solo: Chris Oberhammer è infatti l’unico chef stellato – ma forse pure l’unico chef in assoluto – che non possiede una brigata. «Prendi una brigata, lavori bene, le fai raggiungere standard elevati, poi a un certo punto t’abbandona il sous chef, dopo di lui il pasticcere, e tu in un certo senso ritorni indietro. Il punto è che non puoi permettertelo, perché la clientela (giustamente) non te lo perdona e devi fare dei sacrifici bestiali per mantenere il livello che hai conquistato. Non procedi mai, continui a morderti la coda. Quindi, dato che pure economicamente sono sempre stato da solo, era davvero difficile coinvolgere ogni volta nuove figure professionali». Non è uno che insegue grandi palcoscenici o le luci della ribalta, convinto com’è che «il cuoco deve stare in cucina. La sostenibilità per me è sinonimo di cambiamento: i prodotti che m’arrivano e che utilizzo sono limitatamente disponibili nel tempo, dunque il menu s’aggiorna, non è mai sempre uguale per tutta la stagione, è un continuo ricominciare daccapo. È questa forse la cosa che più mi distingue da molti altri: cucino con prodotti del territorio, penso a piatti che ogni giorno diventano diversi, perché ogni giorno c’è un’evoluzione».

E il metronomo dell’evoluzione rimane l’Alta Pusteria, la parte orientale d’Alto Adige – patrimonio mondiale UNESCO – che Oberhammer conosce come le sue tasche. «La natura è la mia più grande fonte d’ispirazione: sentire i profumi quando vado a correre; vedere i colori dell’acqua del lago di Dobbiaco, che cambiano sempre, vivendo in una perenne lotta contro il tempo. Lavoro a strettissimo contatto con il mio contadino di fiducia, che vedo con cadenza quotidiana e che di tanto in tanto mi suggerisce bacche, piante o erbe a cui magari non avevo pensato. Lì per lì poi decido se utilizzarle o meno. Essere solo mi consente di avere il controllo su tutto, di dire “sono io a cucinare tutto quello che mi sento”». E gli consente di praticare una particolare forma d’intimità e di vicinanza che pochissimi possono vantare: «abbiamo la fortuna d’aver creato una clientela abituale, che non viene qui solo per avere un’esperienza, ma torna perché ormai siamo diventati amici, perché oltre al desiderio di mangiare bene c’è quello di coltivare una relazione. La vicinanza ai miei clienti si trasmette anche attraverso un “guarda Chris, oggi non mi sento al massimo”, e io di riflesso preparo una zuppetta, o un risotto. In qualsiasi ristorante sarebbe un discorso impossibile da fare, qui invece non è fantascienza, è la realtà».

«Ho l’impressione che i miei piatti siano semplici», ammette candidamente: difficile dargli ragione, a meno che quel semplice non sia da intendersi come pretenzioso, artificioso. «Quando finisco un piatto in cucina, vorrei che venisse mangiato immediatamente, allora lo servo subito, senza troppi ritocchi dell’ultimo minuto». Viene da domandargli se senta mai il peso della solitudine, lui che gioca in cucina come un tennista gioca su un campo di terra rossa, ma è abbastanza categorico – «no, direi di no» – dando prova di un’innegabile forza d’animo ed equilibrio interiore. Consapevole che la responsabilità è solo sua, che dipende tutto da lui: «negli anni sono cresciuto, e ora – se faccio una cazzata – so di averla fatta io». Poliedrico, instancabile, le sue giornate sembrano avere molte più ore delle normali ventiquattro destinate a noi comuni mortali, tanto che riesce anche a trovare il tempo per coltivare interessi diversi: dipinge e lavora il ferro, una passione nata per caso: «avevo bisogno di quadri per il ristorante, ma non avevo soldi per comprarli. Allora ho fatto di necessità virtù. Una volta un cliente mi ha chiesto se un quadro fosse in vendita, gli ho risposto di sì, gli ho sparato duemila euro e lui ha acconsentito senza battere ciglio».

Ma non è abbastanza, dato che organizza – in partnership con les Collectionneurs, marchio che conta una collezione di circa 500 tra alberghi e ristoranti – il Dolomiti Gourmet Festival, la cui settima edizione è andata in scena a Dobbiaco dal 6 all’11 ottobre scorso. Oberhammer ha ospitato diversi chef, facenti parte del network presieduto da Alain Ducasse, in una specie di “Chris & friends” volto a promuovere la tradizione culinaria e la cultura delle Dolomiti. «Se organizzi un festival, il tuo primo obiettivo non può e non deve essere il ritorno economico. Il ritorno è ben oltre: l’amicizia, il calore, l’accoglienza. Le rete di les Collectionneurs è importantissima per uno chef come me, che proviene da una piccola realtà, perché può aiutarmi nella comunicazione e nei rapporti con la stampa, affiancandomi dei professionisti che mi supportino. Mi sono potuto concentrare soltanto sulla cucina, sapendo che qualcuno di capace pensava al resto». Come se non bastasse, tra una corsa e l’altra in compagnia dell’amico Gianni Poli, ex maratoneta italiano vincitore della maratona di New York nel 1986, s’è inventato l’iniziativa Cammina gustando, una passeggiata enogastronomica itinerante all’interno della Cortina Dobbiaco Run, lungo il percorso dell’ex-ferrovia che collegava Cortina d’Ampezzo e Dobbiaco. Ultimo, ma non meno importante, è testimonial del mercatino di Natale locale, interamente enogastronomico, che (pandemia permettendo) dovrebbe partire il primo weekend di dicembre e durare tre settimane: «il filo conduttore è il territorio, dobbiamo trasmettere il nostro spirito, chi siamo, altrimenti la cosa non funziona».

Oberhammer ha le idee molto chiare anche su ciò che non funziona attualmente nel mondo del cibo e della ristorazione in generale: «Il business sta rovinando il nostro mestiere, nel senso che purtroppo non di rado quando entri in un ristorante come ospite hai l’impressione di venire munto come una vacca». Per non parlare degli innumerevoli ristoranti blasonati dove lo chef non c’è mai: «in futuro sarà compito dei giornalisti e delle guide valutare questo aspetto con uno sguardo diverso. Dare un premio a un concetto è una cosa, dare un premio a uno chef è un’altra e ora più che mai c’è la necessità di operare una distinzione». Non è rancoroso, anzi: la sua è lucidità allo stato puro. Con una realtà che ora conta dodici coperti «non desidero affatto avere più gente; forse bisognerebbe proprio andare nella direzione opposta: selezionare, sottolineare che la nostra capienza è limitata, che far fronte a un pienone come quello dell’estate appena trascorsa diventa molto difficile». Eppure, manco quello è riuscito a scalfirlo: «bisogna sentirsi appagati, non lasciare spazio a cattiverie o a sentimenti negativi. Io sono preciso, voglio che le cose siano come dico io, voglio ottenere quel determinato risultato, ma alla base c’è una grande serenità di fondo. Sono un capricorno, non esiste muro abbastanza spesso da non poter essere abbattuto». Col sorriso stampato, il piglio giusto, e senza mai menarsela: avercene, di Chris Oberhammer.

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