Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di calamitare intorno all’ultimo dpcm tutti i malesseri, tutte le contrarietà, tutte le ansie di vendetta che da tempo covano in una maggioranza dove finora i non detto, le ipocrisie, l’inerziale assuefazione al potere hanno sempre avuto la meglio: ma adesso che l’onda del covid appare ingovernabile come quella che sommerge George Clooney nella “Tempesta perfetta” vengono fuori tutte le magagne.
L’ultimo dpcm, quello del mezzo lockdown, è difeso ormai solo dal Partito democratico. Perché c’è qualcuno che vuol far saltare il governo, fa capire Nicola Zingaretti. E negli ambienti dem si ipotizza che Renzi voglia far cadere il Conte 2 per un Conte 3 del quale farebbe parte anche lui. Veleni, voci. Come nei momenti più torbidi della vita delle legislature.
Mentre montano proteste di piazza più o meno eterodirette (ma pure a Torino e a Milano c’è la camorra?) la situazione del governo non è ancora fuori controllo: ma quando gli scricchiolii giungono contemporaneamente da troppe parti è segno che l’impalcatura traballa. La fortuna di Conte è che sul dpcm non si vota in Parlamento, e tuttavia resta la ferita.
La scena è di tutti contro tutti. Pare che la ricreazione nella maggioranza sia finita: grillini contro ministri dem, Partito democratico contro sottosegretari grillini, Renzi contro tutti e tutti contro Renzi, e il risultato è che «si balla un po’…», come ci ha detto un ministro di prima fascia che non si sbilancia in previsioni.
Maria Elena Boschi non ci sta a far passare il partito di Renzi come il killer designato quando invece le contraddizioni vere (tipo Mes) sono fra Partito democratico e Movimento Cinque stelle. E Luciano Nobili, sempre di Italia viva, taglia corto: «Noi non rinunciamo alle nostre idee e vogliamo essere ascoltati. È sempre più urgente un tavolo per definire un l’atto nuovo di legislatura». Una mega-verifica, insomma.
Da parte loro i grillini spargono veleni contro Paola De Micheli, rea di aver avallato un sostanziale non intervento per rafforzare il trasporto pubblico; ecco il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri che trova insufficiente il dpcm e annuncia il ritiro dalla politica quando tutto questo sarà finito; il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora che è quasi venuto alle mani con Dario Franceschini nella lunga notte del varo del dpcm; e infine è arrivato il grande classico della rissa Renzi-Zinga dopo che il primo aveva chiesto di modificare la norma che impone la chiusura di cinema e teatri beccandosi una durissima reprimenda persino morale dal segretario del Partito democratico.
La tensione è molto alta anche a via XX Settembre, dove si sta lavorando alla norma per i famosi ristori che, si fa sapere, dovrebbero piovere sui conti correnti delle imprese in difficoltà l’11 novembre. «Ma se Renzi non fa il fenomeno – trapela – perché se ci fa cambiare il dpcm dovremo rifare tutti i calcoli».
Nel bailamme, un protagonista come Luigi De Magistris, che ha deciso di giocare un grottesco derby con Vincenzo De Luca a chi acchiappa più clic, annuncia che andrà in piazza con chi protesta, imitando così l’indimenticabile precedente di ministri e sottosegretari che marciavano contro il governo Prodi di cui facevano parte: De Magistris, figura istituzionale, dovrebbe fare altro che i cortei.
Insomma, l’aria sa di bruciato. Giorgia Meloni, a conferma di una linea sudamericana, chiede elezioni immaginando di lucrare sulle disgrazie non tanto di Giuseppe Conte ma del Paese. Ma la politica dell’azzardo coltivata a destra è cosa che non stupisce, il fatto nuovo è che la maggioranza, dopo l’ultimo dpcm, ha preso a fibrillare forte. E giovedì, in questo clima, Conte torna in Parlamento: non sarà una passeggiata di salute.