Il crimine organizzato, come un virus, attraversa confini e supera barriere. Senza chiedere il permesso, attacca i nervi scoperti delle società, compresa quella europea. È questo l’allarme lanciato da Filippo Spiezia, magistrato italiano vicepresidente di Eurojust, l’agenzia europea per la cooperazione giudiziaria contro il crimine organizzato, nel suo nuovo libro “Attacco all’Europa. Un atlante del crimine per comprendere le minacce, le risposte, le prospettive” (Piemme edizioni). Tratta di esseri umani, narcotraffico, riciclaggio, terrorismo, crimini informatici: Spiezia passa in rassegna alcuni dei rischi più inquietanti per la sicurezza dei cittadini europei. Mettendo in luce i legami che uniscono questi mondi, e facendo il punto su come l’Unione Europea potrebbe aiutare i suoi cittadini a proteggersi da tutto ciò.
Spiezia, quali sono le maggiori minacce per il nostro continente in questo momento storico?
In Europa c’è una emergenza criminale in atto, di cui non tutti hanno percezione e consapevolezza. Diventa più chiara e netta quando la sicurezza dei cittadini viena sconvolta da attacchi terroristici, eventi che si manifestano in modo eclatante. La reazione collettiva che suscitano è giustificata. Ma ci sono forme altrettanto pericolose e subdole di minacce criminali, in grado di compromettere la funzionalità dei nostri sistemi democratici, economici ed informativi.
Quali sono?
Mi riferisco a quelle portate dalla criminalità organizzata con i suoi traffici illeciti, alla criminalità informatica, al traffico di esseri umani. Ognuna di queste forme ha sue specifiche caratteristiche, ma fatta eccezione per il terrorismo internazionale, hanno un comune denominatore: la loro attitudine a generare enormi profitti illeciti. Basti pensare al traffico di stupefacenti: il numero e la quantità dei sequestri di cocaina hanno raggiunto i livelli più alti mai registrati: nel 2018 ne sono state sequestrate più di 181 tonnellate in Europa. L’impatto della criminalità organizzata sull’economia dell’UE in termini di prodotto interno lordo (PIL) è stimato tra 218 e 282 miliardi di euro all’anno. Inoltre, i proventi della criminalità organizzata all’interno dell’UE sono attualmente stimati a circa 110 miliardi di euro all’anno e solo l’1% viene confiscato. Tutto questo dà contezza della emergenza criminale alla quale mi riferivo.
Chi potrebbe approfittare dello stato di emergenza in atto per arricchirsi o estendere i suoi collegamenti criminali?
Vedo tre aree di possibile rischio: uno legato all’entità dei fondi europei che arriveranno per fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto ed il suo impatto sui sistemi sociali ed economici. L’entità delle erogazioni presuppone sistemi trasparenti e responsabili per distribuirli in modo corretto, e non sempre sono presenti nella nostra realtà. È quindi possibile, su larga scala, assistere a fenomeni corruttivi e appropriazioni indebite dei fondi. Ma qualora i fondi non raggiungano i beneficiari indicati, le organizzazioni mafiose e criminali potrebbero sostituirsi e svolgere una funzione supplente rispetto ai meccanismi istituzionali. Il terzo ambito rischioso è legato al crimine che sfrutta il ricorso alle tecnologie digitali. Stanno aumentando a dismisura i tentativi di frodi on line collegate alle forniture, presunte o reali, di dispositivi anticovid. Non si tratta di un rischio teorico, ma di azioni in atto, spesso già realizzate.
Le minacce criminali alla sicurezza non hanno più frontiere. Come farà l’Unione Europea a proteggere i suoi cittadini nei prossimi anni?
Occorre rinsaldare le file, accrescendo il coordinamento strategico ed operativo. Questa strategia non può essere messa in campo tra un anno. Già oggi dovrebbe partire un monitoraggio per verificare, per esempio, utilizzo, flusso e destinazione dei fondi. Il coinvolgimento delle organizzazioni criminali nei mercati illeciti (droga, esseri umani, rifiuti, frodi fiscali) ha cambiato la logica di fondo rispetto alla gestione dei profitti illeciti ottenuti: è stata da tempo abbandonata la mera prospettiva dell’accumulazione, quasi in una sorta di visione redistribuiva “dai ricchi verso i poveri”, per orientare l’azione direttamente verso il mercato, alla ricerca del massimo profitto e delle migliori opportunità di investimento. Le organizzazioni criminali dispongono, oggi, di un fiume di denaro generato dai traffici internazionali di stupefacenti. Esse devono necessariamente investire il proprio “tesoro”, cercando luoghi sicuri. Diventa spasmodica la ricerca di paradisi fiscali e penali.
Quindi?
Occorre dunque ammodernare il quadro normativo sul piano europeo per avere un quadro legale che sia al passo con le forme criminali in espansione, nel contesto di una nuova strategia che ponga al centro il contrasto patrimoniale alle mafie, per deprivare le organizzazioni criminali dei loro proventi, il che rappresenta l’essenza del loro agire.
La buona notizia di qualche giorno fa è che la Commissione europea, ascoltando i vari appelli lanciati da più parti ha annunciato la sua nuova strategia operativa per il prossimo quinquennio, che tra i punti qualificanti prevede la creazione di una nuova agenda europea per il contrasto della criminalità organizzata per il periodo 2020-2025. Adesso si tratta di riempire tale agenda con contenuti all’altezza delle sfide che ci attendono.
Fra tutti questi fenomeni molto spesso c’è un legame: la matrice italiana. Quanto è influente la criminalità organizzata nostrana a livello europeo?
L’infiltrazione della criminalità mafiosa, specie quella italiana, a livello europeo, è purtroppo un dato acquisito. Essa si è concentrata in aree che sono state scelte sulla base delle caratteristiche dei mercati, per soddisfare una crescente domanda di servizi illegali. L’investimento nell’economia legale è stata poi dettata dalla necessità di occultare le attività criminali in profonde operazioni di riciclaggio. Oggi, più che in passato, la vera forza della mafia consiste nel saper raggiungere i suoi obiettivi “classici” sfruttando le moderne occasioni di business, attraverso l’offerta di servizi sempre nuovi, in un’ottica di costante evoluzione. La mafia è divenuta, dunque, un service provider multilivello.
Cosa ha permesso alle mafie di prosperare?
Le mafie si sono radicate nei mercati fornendo alle imprese una gamma di servizi illeciti che vanno dal trasporto illecito di rifiuti alle attività di falsa fatturazione ad imprenditori locali. Esse sono riuscite ad inserirsi abilmente nel tessuto economico e sociale di diversi Stati europei perché hanno identificato e sfruttato le debolezze del sistema: prima fra tutte, la mancanza di un’adeguata conoscenza dei caratteri tipici della criminalità mafiosa e della sua insidiosità.
Vi è stato, dunque, un generale clima di sottovalutazione delle mafie e del crimine organizzato. Tale disattenzione ha permesso alle mafie di crescere e prosperare in maniera invisibile, ma inarrestabile, in tutta l’Europa e ben oltre i confini europei. Ciò nonostante i molteplici colpi subiti ed inferti da azioni delle forze dell’ordine e di magistrature.
Il terrorismo di matrice islamica è un fenomeno tornato violentemente in testa alla cronaca. Abbiamo sottovalutato la profondità di infiltrazione delle ideologie estremiste nella popolazione Ue?
L’omicidio di Samuel Paty, 47 anni, l’insegnante di storia e geografia decapitato venerdì scorso da un fondamentalista islamico, Abdullakh Anzorov, fuori dalla scuola dove insegnava, un liceo a Conflans Saint-Honorine, a nord di Parigi, dimostra che la minaccia terroristica resta altissima nel nostro continente. Il professore aveva mostrato ai suoi alunni le vignette del profeta Maometto pubblicate dal giornale satirico Charlie Hebdo. È importante riandare ai momenti che hanno preceduto l’attentato. Sta emergendo, dal lavoro degli inquirenti francesi, che il padre di un’allieva del professore aveva diffuso un video in cui si mostrava la lezione sulle caricature di Maometto fatta da Samuel Paty e che l’uomo era in contatto, via Whatsapp, con il diciottenne attentatore nei giorni prima dell’attacco. Quindi, nel terribile omicidio, un ruolo fondamentale è stato giocato da materiale diffuso via social media che avrebbe contribuito a motivare l’assassino.
Occorre quindi intervenire prima sui contenuti che circolano in rete.
Questo sollecita una riflessione: tutta sul lato della prevenzione operativa ed investigativa, ovvero che è necessario intervenire tempestivamente sui contenuti on line, apologetici del terrorismo o che istigano alla commissione di attacchi o crimini efferati. Nel 2018 la Commissione ha proposto nuove norme per rimuovere i contenuti terroristici dal web entro un’ora in tutta l’UE (Regolamento TCO). L’adozione della menzionata proposta di atto normativo è stata in particolare supportata da Francia e Germania in ragione dei non soddisfacenti risultati di un approccio esclusivamente cooperativo. L’atto tuttora in discussione ha trovato una difficile accoglienza da parte del Parlamento Europeo e da parte dei difensori del diritto fondamentale di espressione e informazione.
Ci sono poi i crimini informatici, sempre più frequenti.
Quello delle frodi informatiche è un altro settore cruciale. Già nel 2015 si contavano 431 milioni di persone vittime di ciber-crimini (per essere precisi, 14 adulti per secondo). I dati raccolti più recentemente riferiscono di attacchi quotidiani a 978 milioni di consumatori, sparsi su tutto il globo. Speciale preoccupazione destano i casi in cui le vittime sono minori degli anni 18: sono proprio i bambini e gli adolescenti ad essere esposti maggiormente a reati informatici particolarmente pericolosi, primo fra tutti lo sfruttamento sessuale online. I minori rappresentano all’incirca il 70% del totale delle vittime che vengono annualmente soggette a ricatti di tipo sessuale online.
Crede sia arrivato il momento di intensificare l’uso delle intercettazioni telematiche?
Quello delle intercettazioni telematiche è un tema molto complesso perché è collegato alla innovazione tecnologica, in continua evoluzione grazie ai processi di miniaturizzazione delle componenti elettroniche che hanno enormemente potenziato la possibilità di captare, elaborare e scambiare dati, informazioni, immagini. Da questa evoluzione discendono due implicazioni: la criminalità ha colto da tempo le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica, sia per utilizzare nuove modalità comunicative in ambito criminale, sia commettendo reati sul web. Oggi i criminali hanno a “portata di cloud” un numero impressionante di informazioni ed hanno fatto ricorso al computer ed agli apparati di comunicazione digitale per commettere e sperimentare modalità inedite di consumazione delle attività illecite, anche “tradizionali”, seppur lasciandone digitalmente traccia (si pensi alle forme di comunicazione anonima, su Dark WEB o il ricorso a sistemi TOR ed a forme di comunicazioni criptate).
Dovrebbe esserci, secondo lei, un’armonizzazione delle legislazioni e un miglior coordinamento delle polizie e delle magistrature europee?
Uno dei principali problemi in questo ambito è la varietà del quadro normativo in ambito europeo, che non agevola le investigazioni e non offre neppure un quadro accettabile dal punto di vista delle garanzie e dei diritti fondamentali. Pensiamo alla normativa sui captatori informatici, come i trojan: nella maggior parte dei Paesi Membri (20) è emerso che tale mezzo investigativo è conosciuto, ma limitato a casi specifici (criminalità organizzata e terrorismo); in 4 Stati membri non è prevista come forma legale (Germania, Lussemburgo, Finlandia, Svezia). L’Austria solo di recente lo ha introdotto, ma la normativa è oggetto di forti contestazioni. Questo è uno dei settori in cui è necessario ed urgente un intervento normativo a livello europeo ed in cui l’aumento della efficienza operativa del sistema non rappresenta una prospettiva antitetica rispetto al tema della tutela dei diritti fondamentali, ma trattasi di aspetti complementari. Occorre con urgenza trovare soluzioni che assicurino i cittadini che gli accertamenti investigativi possono compiersi, ma prevedendo forme di abuso e di ingiustificata interferenza nella vita privata.