La stagione del discontentoPanificatori di tutto il condominio, scioglietevi

Ricordate il primo lockdown, quello fatto di aperitivi su zoom, divano e scorte di amuchina? Già a settembre sembrava tutto dimenticato. Adesso potrebbe tornare, ma spero davvero che tolgano il lievito dagli scaffali

MIGUEL MEDINA / AFP

«Non sto scherzando: hanno razionato il lievito».

Il messaggio non è il primo a rianimare le chat più frequentate di primavera, e ora in sonno da qualche mese: quelle in cui, come combattenti sulle montagne, ci si fornivano coordinate sui tempi di attesa per la spesa.

Erano, ve li ricorderete, i mesi in cui tutto ci faceva sentire eroici, pure stare sul divano, pure fare l’aperitivo su Zoom, pure esser riusciti a fare scorta d’amuchina. Figuriamoci se non ci faceva sentire eroici accorgerci che alle cinque di mattina Esselunga apriva nuove disponibilità di consegna, e avere la sovrannaturale generosità di condividere quest’informazione con amici insonni quanto noi.

(Di tanto in tanto mi chiedo cos’abbiano mangiato e come abbiano lavato i panni, in quei mesi, quelli che cascasse il mondo si fanno comunque le loro otto ore di sonno, e non erano mai svegli alle ore mannare in cui, per pochi minuti prima che gli insonni le esaurissero, i supermercati rendevano disponibili nuove consegne).

Poi l’emergenza si è fatta immergente, e abbiamo ricominciato a uscire di casa per fare la spesa.

Era settembre quando ho mandato il mio primo messaggio con scritto «è una mia impressione o abbiamo mandato a puttane ogni precauzione?»: erano le sette d’una sera feriale, e all’Esselunga sotto casa mia la gente aveva smesso di stare distante, di uscire da dov’era indicata l’uscita ed entrare da un’altra parte, di non accalcarsi ai nastri scorrevoli delle casse.

Le cassiere nascondevano quelle barre separatrici che solitamente si trovano a bordo cassa: speravano che, più della paranoia da virus, potesse quella che le tue derrate si confondessero con quelle del cliente precedente; ma neanche quel timore ancestrale che è l’idea che un altro s’appropri del mio latte scremato bastava a farci stare distanti.

Era ottobre quando un ristoratore, visti i segnali del ritorno (eterno?) della primavera del discontento, mi ha detto «sento già l’odore del lievito». Ho riso, e nervosamente ho tenuto a specificare che io, nei mesi del confino, non avevo mai impastato.

Era sempre ottobre quando sono arrivati i primi messaggi che rianimavano le chat dei partigiani della spesa. File nei supermercati come a marzo, segnalavano da Bologna. Le file sono arrivate anche qui, e noi che credevamo fossero roba vostra, rilanciavano da Roma.

Mentre scrivo, Cortilia ha disponibilità tutti i giorni da qui a una settimana, e l’Esselunga pure. Mi sento quindi di rassicurare me stessa e tutti coloro coi quali per mesi non ho parlato d’altro se non di come e quando saremmo riusciti a farci consegnare la spesa: non è di nuovo aprile.

Non torneremo a cercare siti oscuri che promettono disponibilità a consegnare il detersivo per i piatti prima di due settimane (che era il tempo medio d’attesa per una consegna Esselunga durante la primavera del nostro discontento: quando finalmente arrivava l’ordine che avevi fatto in gran fretta per paura che il sito sovraccarico ti buttasse fuori, ti chiedevi perché mai due settimane prima ti sembrasse indispensabile possedere dieci barattoli di pesche sciroppate, e non trovavi mai una risposta).

Non torneremo (non tornerete) a impastare: voglio pensare che un dio del senso del ridicolo il lievito l’abbia tolto dagli scaffali per salvarci dai nostri tic, per non farci rifare proprio tutto uguale identico.

Non torneremo (non tornerete) a cantare dai balconi, sentendovi alle prese coi bombardamenti e la carestia, quando v’avevano semplicemente chiesto di non andare a fare l’happy hour.

Non torneremo a metterci meno di venti minuti per capire da che parte si prenda il treno, visto che in stazione Centrale, a Milano, ci sono tutti i cordoni per il distanziamento che non ci sono nei bar, sugli autobus, nel metrò. Passeggeri pochi, ma moltissimi cordoni, forse per distanziarci dai binari, neanche fossimo potenziali Anna Karenina.

Non torneremo a lamentarci dell’introvabilità delle mascherine, almeno quel tic lì l’abbiamo sostituito: ora ci lamentiamo dell’introvabilità dei vaccini influenzali.

Non torneremo a lamentarci della didattica a distanza: non abbiamo mai smesso. L’idea che i minorenni continuino a studiare senza aumentare le possibilità di contagi non ha mai smesso di sembrarci vessatoria, anticostituzionale, e via di iperbole.

Arriverà un inverno del discontento (e non è che l’estate sia stata poi così gloriosa), e sarà quasi uguale alla primavera. Madri medie riflessive che frignano perché le scuole sono chiuse, zitelle che frignano perché senza nessuno in giro Tinder non ti segnala potenziali flirt nel quartiere, ipocondriaci che frignano perché viene violato il loro diritto al vaccino antinfluenzale, cantanti da balcone che frignano perché non è detto che quest’anno facciano Sanremo, loro naturale punto d’arrivo.

Almeno, però, col lievito razionato, non ci toccheranno le foto dei piccoli panificatori dilettanti, quelli che chiusi in casa nell’epoca dello streaming e del Kindle proprio non sanno come intrattenersi, quelli al quale il padre di Natalia Ginzburg avrebbe detto «voi vi annoiate perché non avete vita interiore». Quelli che, potendo, impasterebbero – nessuno si senta offeso.

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