Veicolo di contagioIl governo obbliga a mettere la mascherina all’aperto, ma ignora il pericolo dei bus stracolmi

A fine estate l’esecutivo aveva stabilito che la capienza massima dei trasporti pubblici non dovesse superare l’ottanta per cento. Ora malgrado un ritorno dell’epidemia non ci sarà nessuna riduzione

FILIPPO MONTEFORTE / AFP

Il governo impone l’obbligo delle mascherine all’aperto in tutta Italia e i militari sono pronti a scendere in strada per vigilare contro gli assembramenti, ma sugli autobus i passeggeri continueranno a viaggiare ammassati, soprattutto nelle ore di punta. Studenti, lavoratori e pensionati che non possono usare il bonus monopattino o farsi una passeggiata, dovranno sgomitare per un posto sul tram. Sperando di non ammalarsi.

Il distanziamento vale ovunque, ma non sui mezzi pubblici. Il paradosso si consuma nei giorni in cui Palazzo Chigi ha adottato una nuova stretta per contenere i contagi, quando ormai è arrivata la seconda ondata. Il problema del trasporto pubblico locale resta quello di sempre: si sale con le mascherine e il gel, ma senza nessun tipo di distanza. Anzi. Da Nord a Sud si sprecano i casi di bus stracolmi, senza controlli né precauzioni. Una discriminazione insopportabile per chi è costretto a utilizzare i trasporti pubblici ai tempi del Covid.

A Roma gli utenti hanno redatto una lista nera delle linee più affollate, con bus pieni già dal capolinea. A Napoli i giornali locali segnalano una «ressa costante, quotidiana e incontrastata» sui vagoni della metropolitana. In Toscana un gruppo di studenti delle scuole del Valdarno ha scioperato contro i pullman pieni all’inverosimile. Sulla tratta Cervia-Cesena i genitori sono sul piede di guerra e anche dalla Bergamasca, epicentro della prima ondata, arrivano immagini sconfortanti. Mentre i sindacati lamentano l’assenza di controlli a bordo, si fa quel che si può.

Gli enti locali provano a correre ai ripari. Alcune aziende di trasporto aumentano il numero di bus o potenziano le corse, ma i problemi restano quasi ovunque. A fine estate il governo aveva stabilito che la capienza massima degli autobus non dovesse superare l’ottanta per cento. Ora, con l’impennata di contagi, non ci sarà nessuna riduzione, lo ha fatto sapere il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli a proposito del nuovo dpcm (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri).

Peccato che intanto sui mezzi pubblici la situazione sembri fuori controllo. Da giorni gli esperti hanno lanciato l’allarme. Secondo una tabella elaborata dalla Fondazione Gimbe, in ambienti chiusi e affollati con poca aerazione, come i bus appunto, il rischio contagio è alto anche se si indossa la mascherina e si resta in silenzio. Insomma, non c’è scampo.

Il direttore sanitario dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani Francesco Vaia l’ha detto chiaramente: «Per noi i trasporti sono un elemento di grande preoccupazione, la regola dell’80 per cento è una sciocchezza. Delle tre regole di prevenzione (mascherine, igiene e distanziamento) il distanziamento è il fattore più importante in questa fase. Bisognerebbe raddoppiare i trasporti a Roma e in tutte le città italiane». Un’utopia, per i Comuni coi bilanci in rosso. Una necessità, se si vogliono evitare focolai.

Il caso c’è, anche se politicamente non fa poi tanto rumore. Il vicepresidente della Camera in quota Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, attacca: «Ci sono migliaia di “discoteche” aperte di giorno in ogni città: fermate di autobus, pullman, metropolitane, treni regionali, vagoni e mezzi su gomma stracolmi, per un totale di milioni di persone assembrate ogni giorno e in ogni ora».

Il sistema è in sofferenza. Lo sa bene la presidente della Commissione Trasporti della Camera Raffaella Paita, che a Linkiesta spiega: «Servono più risorse e controlli maggiori, il problema è il rispetto delle regole. Dopodiché il Covid ha mostrato lo stato in cui versano le aziende del trasporto pubblico locale. Non si è ragionato per tempo. È inaccettabile che gli autobus vadano a fuoco. Le risorse del Next Generation Eu dovrebbero servire a risolvere molti di questi problemi strutturali. Non possiamo ragionare sempre nell’ottica dell’emergenza e dell’immediato».

In attesa dei soldi dell’Europa, le persone continuano a salire su mezzi pieni e rischiosi. «In questo momento chi prende l’autobus – continua Paita – lo fa perché è costretto a farlo e dev’essere aiutato». A scuola, poi, il paradosso è ancora più insopportabile, dopo mesi passati a organizzare i protocolli per la didattica, tra distanziamento, ingressi scaglionati e banchi monoposto. Antonello Giannelli è il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi. Al telefono con Linkiesta non nasconde la sua preoccupazione: «Non ha senso rispettare tutte le regole in classe per quattro o cinque ore, se poi si adottano comportamenti non sicuri nel resto della giornata, come accade sugli autobus affollati».

Secondo il capo dei presidi serve un confronto con gli enti locali, responsabili del servizio di trasporto, per chiarire «qual è effettivamente il livello di servizio che possono offrire». I sacrifici fatti da famiglie, professori e dirigenti scolastici rischiano di essere vanificati. «Gli studenti stanno dimostrando maturità nei comportamenti, si rivelano molto più responsabili degli adulti. Ma quello che accade prima e dopo il loro ingresso a scuola, come sui mezzi pubblici, svilisce ciò che noi cerchiamo di insegnare. E rischia di far aumentare i contagi». Autista, ci faccia scendere.

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