Stato di diritto in arrivoLe istituzioni europee stanno mettendo a punto nuovi strumenti per scongiurare derive autoritarie negli Stati membri

Il punto più dibattuto è la condizionalità che si porrebbe all’erogazione dei fondi europei a tutela del bilancio e di Next Generation Eu. Una formulazione su cui si stanno concentrando i negoziati in corso in queste settimane

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Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

L’Unione europea sta introducendo dei nuovi strumenti per tutelare lo stato di diritto e la democrazia all’interno dei suoi stessi confini, a fronte del loro deterioramento in alcuni paesi membri. Il 30 settembre la Commissione europea ha pubblicato il primo rapporto annuale sullo stato di diritto – un esercizio di monitoraggio annuale rivolto a tutti gli stati membri, che dovrebbe favorire un rilievo tempestivo delle situazioni problematiche e l’adozione di misure adeguate. Inoltre, le istituzioni dell’Ue stanno negoziando dallo scorso luglio l’introduzione di un legame esplicito tra il rispetto dello stato di diritto e l’erogazione dei fondi europei (e in particolare quelli ingenti previsti dal Fondo per la ripresa, o Next Generation EU). I paesi che violano alcuni principi democratici di base potrebbero cioè vedersi ridurre o sospendere le risorse che ricevono. Si tratta di molti soldi: tra il 2014 e il 2020, ad esempio, Polonia e Ungheria hanno ricevuto oltre 135 miliardi di euro di fondi strutturali dall’Ue, e ne sono piuttosto dipendenti.

Come funzionerebbe il vincolo tra lo stato di diritto e i fondi europei?

Quando a luglio 2020 i governi europei hanno concordato la creazione del Fondo per la ripresahanno deciso che «sarà introdotto un regime di condizionalità a tutela del bilancio e di Next Generation EU. In tale contesto, in caso di violazioni, la Commissione proporrà misure che dovranno essere adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata. Il Consiglio europeo ritornerà rapidamente sulla questione». Una formulazione volutamente molto vaga: è sulla sua traduzione in pratica che si stanno concentrando i negoziati in corso in queste settimane.

In primo luogo, va definito quali aspetti dello stato di diritto saranno presi in considerazione: secondo la proposta di mediazione avanzata dal governo tedesco a settembre, la possibilità di introdurre sanzioni scatterebbe solo in caso di gravi casi di corruzione e frode, mentre rimarrebbero esclusi altri tipi di violazione, come gli attacchi contro la magistratura e la stampa. Va inoltre capito a chi spetterà dichiarare che è in corso una violazione e quali criteri userà per questa valutazione: il rapporto annuale realizzato dalla Commissione prevedibilmente sarà molto importante a questo scopo.

In caso di avvenuta violazione, bisogna poi decidere chi potrà far scattare la sospensione dell’erogazione dei fondi: di sicuro non sarà la sola Commissione, ma saranno coinvolti anche gli stati membri; e di sicuro non si procederà all’unanimità, bensì a maggioranza qualificata (serviranno cioè i voti di almeno il 55 per cento dei paesi membri, che rappresentino inoltre almeno il 65% della popolazione dell’Ue). Va deciso se la maggioranza sarà richiesta per approvare la sospensione dei fondi, come vorrebbero gli stati membri, oppure per bloccare un’eventuale proposta di sospensione avanzata dalla Commissione.

Chi sostiene il nuovo vincolo e chi vi si oppone
Secondo un sondaggio pubblicato dal Parlamento europeo la scorsa settimana, il 77% dei cittadini europei è a favore dell’idea di legare l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato del diritto.

Facendosi rappresentante dell’opinione pubblica e dell’interesse europeo generale, il Parlamento chiede da tempo maggiori strumenti per sanzionare e scoraggiare le derive autoritarie all’interno dell’Ue. I gruppi politici più attivi su questo sono i Verdi e i liberali di Renew Europe, mentre il Partito popolare europeo (di cui fanno parte tra gli altri i partiti al governo in Ungheria e in Bulgaria) mantiene un’enorme ambiguità. Benché a parole siano favorevoli all’introduzione di strumenti più incisivi, quando si tratta di condannare governi guidati da partiti che fanno parte della loro famiglia politica i popolari diventano estremamente cauti.

Anche la Commissione europea è favorevole a nuovi strumenti per tutelare lo stato di diritto, a partire dal nuovo meccanismo di monitoraggio e dialogo in cui rientra il rapporto annuale pubblicato da poco, ma anche attraverso la possibile sospensione dei fondi europei destinati a un determinato paese. D’altra parte, fu proprio la Commissione a proporre un simile dispositivo a tutela dello stato di diritto nel 2018, all’inizio dei negoziati sul bilancio dell’Ue per il periodo 2021-2027.

I governi nazionali – rappresentati all’interno del Consiglio dell’Ue – tendono invece a essere ben più freddi verso l’introduzione di un vincolo tra il rispetto dello stato di diritto e l’erogazione dei fondi europei, se non altro perché ciascuno di loro potrebbe finire per subire un giorno delle sanzioni. Polonia e Ungheria sono gli obiettivi più immediati di eventuali misure punitive, e dunque sono decisamente contrarie a prevedere un tale vincolo. Altri governi, incluso quelli italiano e spagnolo, si mostrano freddi rispetto al negoziato in corso non tanto per obiezioni di principio, quanto per il pericolo che i dissidi politici mettano a rischio un’erogazione rapida dei massicci stanziamenti previsti dal Fondo per la ripresa. Proprio per lo stesso motivo, i paesi cosiddetti “frugali”, come i Paesi Bassi, la Danimarca e la Finlandia, stanno invece insistendo sulla condizionalità.

Oltre che per motivi tattici, i governi dei paesi frugali hanno l’esigenza di garantire all’opinione pubblica interna che l’impegno economico e finanziario che si assumono non si risolva in sprechi e clientelismo. Di contro, quelle stesse opinioni pubbliche sono tradizionalmente diffidenti rispetto a un eccessivo interessamento dell’Ue alla vita politica interna dei singoli stati e alla costruzione di un’Europa politica.

Quali altri strumenti sono a disposizione per tutelare lo stato di diritto?
Per tutelare lo stato di diritto all’interno del suoi confini, l’Ue può contare su tre canali di dialogo politico – che non prevedono cioè la possibilità di adottare misure vincolanti per colpire le violazioni compiute da un governo – e altri strumenti che possono invece condurre a vere e proprie sanzioni. I canali di dialogo politico includono l’attività di monitoraggio e consultazione sullo stato di diritto appena introdotta dalla Commissione europea, i dialoghi annuali organizzati dal Consiglio, e il meccanismo di cooperazione e verifica, previsto solo per la Romania e la Bulgaria.

Per quanto riguarda gli strumenti che possono invece portare all’adozione di misure vincolanti, l’articolo 7 del Trattato sull’Ue prevede una procedura che può finire per sospendere il diritto di voto di uno stato membro all’interno del Consiglio, in caso di “evidente rischio di violazione grave” dei valori fondamentali dell’Unione. È la cosiddetta “opzione nucleare”, così pesante dal punto di vista politico che è assai difficile da portare fino in fondo – anche perché richiede l’unanimità degli altri stati per sanzionare quello incriminato, ed è raro che un paese finisca per trovarsi così isolato. La Commissione ha aperto una procedura contro la Polonia nel 2017, mentre nel 2018 il Parlamento europeo ne ha avviata una contro l’Ungheria. In entrambi i casi, i veti incrociati dei due governi coinvolti impediscono il completamento del processo, che è servito a evidenziare le gravi carenze istituzionali dei due paesi ma non è finora riuscito ad arginarne la deriva.

La Commissione europea può anche aprire delle procedure di infrazione contro gli stati membri che non applicano correttamente le normative europee – un processo che può portare la Corte di giustizia dell’Ue a comminare sanzioni pecuniarie. È la modalità ordinaria con cui la Commissione tutela il rispetto dei trattati e delle norme europee: al momento ci sono centinaia di casi aperti dato che tutti gli stati sono colti in fallo su una o più normative. Ma questa procedura ha tempi lunghi e non è attivabile in caso di minaccia contro lo stato di diritto in quanto tale, ma solo in caso di sospetta violazione di una precisa direttiva o regolamento europeo (o al più di una sentenza della Corte di Giustizia).

Per colpire i casi di corruzione e di cattiva gestione dei fondi europei, esistono infine l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e soprattutto il nuovo ufficio del Procuratore generale dell’Ue. Secondo alcuni osservatori, più che introdurre un nuovo meccanismo che leghi il Fondo per la ripresa al rispetto di determinati standard, sarebbe utile rafforzare i poteri del Procuratore generale e premere affinché tutti gli stati membri si sottopongano alla sua giurisdizione.

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