Ieri sera dopo aver aperto una bottiglia, a casa, mi sono accorto che qualcosa nel vino non andava. Era diverso da come lo ricordavo: meno fruttato, più vegetale, in generale meno espressivo e più introverso. Non era però cattivo, solo un po’ differente e se non fosse stata etichetta con cui ho una certa confidenza probabilmente non me ne sarei accorto. Mi ero appena imbattuto in un problema dato dal tappo ma diverso dal cosiddetto “sentore di tappo”.
Quest’ultimo è il più famoso, a tutti è capitato infatti di chiedere una seconda bottiglia al ristorante o di ritornare in enoteca dopo averla aperta per sostituirla. Si tratta di un vero e proprio difetto dato da una specifica sostanza, il tricloroanisolo (per brevità TCA), a sua volta proveniente da un fungo il cui habitat privilegiato è la corteccia della quercia da sughero. L’albero che è alla base della produzione della stragrande maggioranza dei tappi da vino al mondo.
Ogni anno circa 12 miliardi di bottiglie nel mondo vengono chiuse con tappi derivanti dalla lavorazione del sughero. La stragrande maggioranza, circa il 70 per cento del totale. Tappi che possono essere diversissimi tra loro, che possono costare pochi centesimi come qualche euro, ma che hanno in comune una cosa: provengono tutti dalla corteccia del Quercus suber, fusto tipico del bacino del Mediterraneo. È in questa ampia area che si concentra la sua coltivazione e di conseguenza la sua lavorazione, i più importanti paesi produttori di sughero sono Portogallo e Spagna, seguiti da Marocco, Algeria, Tunisia, Francia e Italia. Si tratta di una pianta molto longeva, che al naturale può raggiungere i 20 metri di altezza e vivere per oltre 200 anni, e che ogni 9 può essere decorticata: la corteccia ci mette cioè 9 stagioni a diventare abbastanza spessa per essere adatta alla produzione di tappi. Non solo, grazie alla sua struttura a nido d’ape e quindi alla sua densità il sughero è materiale in grado di galleggiare, è ottimo per ammortizzare e per assorbire le onde del suono, è resistente al fuoco, è flessibile e quindi può essere modellato in qualsiasi forma, oltre a essere completamente biodegradabile. Tutte caratteristiche grazie alle quali viene utilizzato in una grande varietà di settori, soprattutto quello delle costruzioni.
Non è facile fare una stima precisa, nel corso degli anni sono stati pubblicati dati e ricerche che sono arrivate a conclusioni diverse tra loro, si può però ipotizzare che tra l’1 e il 2 per cento dei tappi in circolazione portino al sentore dato dal TCA, a odori difficilmente descrivibili ma che in linea di massima ricordano quelli di una cantina molto umida, se non proprio di muffa. Non è però quello il solo problema: un certo numero di tappi se a contatto prolungato con il vino può portare a piccole variazioni organolettiche, difetti che non sono immediatamente riconducibili al sughero ma che al tempo stesso cambiano, anche se di poco, il profilo del vino. Contando anche questi si può stimare in modo conservativo che circa il 3/4 per cento dei tappi di sughero possono portare a qualche tipo di problema, nel vino.
Anche per questo nel corso degli anni si sono affermate delle valide alternative al sughero, in particolare 2 quelle di maggior successo. Il tappo a vite è un tipo di chiusura inventata alla fine del XIX secolo che nel vino ha acquistato notorietà a partire dagli anni 70 del ‘900. In Australia, in particolare: un Paese che si stava allora affacciando per la prima volta sul mercato del vino mondiale e dove in molti vedevano in quella chiusura un modo per differenziarsi dal vecchio mondo, dall’Europa. La seconda è rappresentata dai tappi cosiddetti tecnici, ovvero prodotti a partire da materiali diversi dal sughero. I più famosi sono realizzati con materiali plastici o, nella loro versione a minor impatto ambientale, con polimeri a base di canna da zucchero. Negli ultimi due decenni sono stati fatti molti passi in avanti in termini di tecnologia, al punto che oggi i migliori tappi sia a vite che tecnici permettono al vino presente nelle bottiglie di avere uno scambio di ossigeno con l’esterno simile a quello che è possibile riscontrare con alcuni tappi di sughero. È questo il punto più importante: l’evoluzione del vino all’interno della bottiglia. Un tappo completamente ermetico non permetterebbe al vino di affinarsi, imprigionandolo all’interno del vetro. Tutti i degustatori più attenti sanno quanto invece sia importante per ogni vino evolvere con il passare degli anni, una trasformazione in cui il ruolo dell’ossigeno, dell’aria esterna, ha un ruolo fondamentale.
«Una volta un importante enologo mi ha detto che il tappo è l’ultimo coadiuvante enologico, l’ultimo strumento cioè che permette al produttore di intervenire sul vino». Le parole sono quelle di Carlos Veloso dos Santos, amministratore delegato di Amorim Italia, leader di mercato con oltre 600 milioni di tappi venduti nel nostro Paese nel 2019. «Il primato del tappo di sughero non è mai stato messo in discussione, e i numeri lo dimostrano. In particolare è importante sapere che la grande maggioranza dei vini venduti nel mondo, circa l’85 per cento, è destinata a un consumo molto rapido, entro un anno dall’acquisto. Per tutto quel segmento esistono i tappi in sughero microgranulare, sono tappi che sono stati “puliti” dal TCA e che quindi si rivelano perfetti per quelle bottiglie che vanno tappate e subito stappate. Per tutte le altre è meglio parlare di monopezzi (cioè di tappi di sughero interi, che derivano direttamente dal taglio della corteccia, nda), quelli che tutti conosciamo bene e che sono i capostipiti di un’importantissima filiera economica e sociale. Come Amorim già da tempo produciamo tappi TCA free, che sono stati analizzati dai nostri nasi elettronici, inoltre dal prossimo anno saremo in grado di commercializzare tappi garantiti, da cui saremo riusciti a estrarre le molecole di TCA».
Il mercato è enorme, e per quanto si continuino a fare degustazioni comparative non è possibile dire con certezza quale sia la migliore chiusura, in assoluto. Ogni vino ha probabilmente il tappo più adatto in base alle aspettative di chi lo ha prodotto, condizione che può valere per uno ma magari non per quello prodotto nello stesso modo a pochi chilometri di distanza.