Food Writing Could Be Better, But It Will Need to Get Unappetizing First – KQED, 29 ottobre
È vero, questo articolo è più da addetti ai lavori che da pubblico inteso in senso allargato, ma tra le sue pieghe si trovano risvolti interessanti per tutti, quindi vale la pena soffermarcisi. Ruth Gebreyesus qui si occupa di scrittura gastronomica, e di come i food media continuino a essere perlopiù dedicati al piacere e al lifestyle, lasciando che a trattare temi culturali, sociali e politici in relazione al cibo siano quasi sempre le redazioni extra-gastronomiche. Dietro questa osservazione c’è un’enorme questione cultural-giornalistica, che in modi simili riguarda altri settori specialistici del mondo dell’informazione. Ma non solo: c’è anche la constatazione che tale impostazione in qualche modo circoscrive nettamente il pubblico dei food media, che lasciando da parte una certa ricettistica – verrebbe da dire di basso livello – fruita trasversalmente, si ritrova tra le mani contenuti pensati per persone con buona capacità di spesa e inclinazione gourmet. Se la pandemia ha scoperto alcuni nervi sensibili, questo è uno: perlomeno negli Stati Uniti, infatti, le questioni di genere, razziali e sociali che investono il mondo del cibo (ristorazione, food media, agricoltura, trasformazione, GDO, accesso alle risorse alimentari…) hanno ottenuto nuova rilevanza, grazie a un piccolo esercito di penne più sensibili a un approccio “aperto” alla scrittura gastronomica. Nonostante ciò, queste piccole conquiste non sembrano destinate a durare, e la voglia di normalità rischia di inghiottire tutto e farci tornare al punto di partenza di qui a qualche mese. Ma come recita il titolo dell’articolo, la scrittura gastronomica potrebbe essere migliore, meno “ghetto”, se solo accettasse di essere anche (perlomeno qualche volta) meno allettante, meno piaciona, meno lifestyle e basta.
The free school meals row should open up a debate about poverty itself – The Guardian, 26 ottobre
Tra i temi gastronomici meno “allettanti” di sempre, per rimanere in tema con l’articolo precedente, c’è quello della fame. E non serve scomodare i paesi in via di sviluppo: basterebbe dare un’occhiata tra i confini della propria nazione per vedere migliaia di famiglie rivolgersi alle associazioni del terzo settore per mettere qualcosa nel piatto. In Italia tutto ciò si traduce perlopiù con il termine Caritas, in Inghilterra con food banks. Ma oltre Manica anche sui pasti scolastici si è aperta una discussione non da poco, alimentata (tra gli altri) dal calciatore del Manchester United Marcus Rashford, che da piccolo ha usufruito di pasti scolastici gratuiti e oggi ne sottolinea l’importanza per le famiglie più povere. In questo articolo Jack Monroe, attivista impegnata proprio sul versante degli aiuti alimentari, sottolinea l’importanza di una riflessione allargata sul tema. Non “piace” leggere le storie delle persone che lottano contro il rischio della fame, ancora di più se si tratta di bambini. Ma non dovrebbe essere anche questo lo scopo del giornalismo gastronomico?
Come la pandemia ha peggiorato il nostro rapporto con il cibo – The Vision, 27 ottobre
Rimaniamo tra temi cupi anche con questo articolo di Chiara D’Andrea, che racconta come la pandemia e in special modo il lockdown abbiano contribuito ad acuire i disturbi alimentari di moltissime persone. Nonostante la narrazione via social (e non) di un paese (il nostro) che si è dedicato alla pizza casalinga e a qualche bottiglia di vino in più, sotto sotto ci sono state e ci saranno un bel po’ di persone in serissime difficoltà, a rischio di peggioramento o di ricadute.
Cookbooks Help Me Escape These Days – The New York Times Magazine, 28 ottobre
In tutto questo, cucinare e scoprire nuovi ricettari, magari di cucine lontane e paesi a noi poco noti, può essere una via di fuga dallo stress e dall’ansia del periodo. Lo sostiene Samin Nosrat scrivendo di In Bibi’s Kitchen, un volume recente che contiene ricette di otto nonne di diverse nazioni africane, e che nelle ultime settimane sta facendo parlare molto di sé.
Quella del bollito misto più che una ricetta è un’esperienza – Esquire, 25 ottobre
Poi al piacere e alla soddisfazione di palato e stomaco bisogna tornare, perché come si diceva in precedenza per scrivere di cibo in modo completo non bisogna lasciare indietro nulla, né il poco allettante né il super allettante. Ancora meglio se ci torniamo dando un taglio culturale al racconto di un piatto iconico, popolare, caposaldo della cucina regionale e quindi non particolarmente alla moda come il bollito. Piemontese, ovviamente.