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4 Novembre, Gianfranco Coizza risponde puntuale, all’ora del coprifuoco italiano, da Praga, dove lavora e vive da quando, vent’anni fa, vi si era trasferito perché innamorato della lingua e della letteratura dell’allora Cecoslovacchia. Da quel giorno non si è mai pentito della sua scelta, tanto da costruirsi una vita e una famiglia in quel Paese che, negli anni, è cambiato spesso e velocemente.
Oggi, in questo imprevedibile 2020, anche lì la situazione è molto particolare, durante la scorsa primavera, infatti, la prima “ondata” del contagio da coronavirus è stata clemente con l’intera Repubblica Ceca e, per questo, nello Stato non sono state imposte restrizioni eccessivamente gravose. Tuttavia, racconta lo chef, non sono state prese nemmeno le precauzioni necessarie per prepararsi a un’eventuale seconda ondata, che nelle ultime settimane ha colpito il Paese con forza, riportandolo alle condizioni vissute a marzo in Italia e altrove.
II governo ceco si è quindi trovato costretto a seguire l’esempio europeo, attuando una serie di limitazioni alla libertà dei cittadini e naturalmente all’attività dei ristoratori, ai quali ormai è permessa la sola vendita a domicilio o da asporto.
Coizza sorride amaro mentre racconta come vive questa situazione, che lo ha travolto come un fulmine a ciel sereno dopo che, proprio lo scorso marzo, lo chef aveva annunciato l’imminente apertura di nuovi locali. Oggi quell’idea è rimasta in sospeso, mentre tutta l’attenzione di Coizza si è concentrata sul suo primo ristorante, A Posto che fortunatamente vanta una clientela affezionata, che oggi supporta le vendite con ordinazioni frequenti. Il delivery, infatti, è un’abitudine molto diffusa in Repubblica Ceca, sin da prima dell’emergenza sanitaria, ma se per altre zone del Paese questo basta per dar respiro ai ristoratori, a Praga, città fondamentalmente turistica, cuochi e sommelier soffrono la mancanza dei clienti stranieri.
Il futuro? Difficile immaginarlo, anche perché il governo, per ora, non ha previsto aiuti economici per il settore della ristorazione, l’idea più diffusa, però, è quella di investire nel delivery che, per quanto non possa sostituire l’esperienza vissuta in un ristorante, si presenta come il surrogato migliore. Da questo proposito la comunità di ristoratori locali ha sviluppato molte idee per cercare di mantenere vivo il legame con la clientela, tentando di intuire e soddisfare le nuove necessità, come quella di rispettare tradizioni e feste locali – che nel ristorante di Coizza incontrano sempre contaminazioni nostrane – da casa.
È così che, influenzato anche dalla direzione che sta prendendo la ristorazione in Italia, Coizza oggi si propone di tornare a una cucina più vera, conosciuta, rassicurante, la cucina delle origini, che per lui coincide con i piatti che cucinava la nonna in Sardegna. Si tratta di una missione non facile in un Paese straniero, dove il patrimonio gastronomico nostrano è spesso sconosciuto, o scambiato con piatti maccheronici come la carbonara con la panna o la pizza con l’ananas. Coizza, però sorride mentre racconta i suoi sforzi per inserire in menu piatti sardi, e la fiducia che ha maturato nella forza delle radici della cucina, che sfiorano e mescolano le tradizioni più lontane. La sua brigata è la più vivida dimostrazione di questo atteggiamento, perché conta componenti provenienti da diversi Paesi, ma anche da diverse regioni d’Italia, individui scelti per competenze e cultura e alla fine di questa chiacchierata non si può che dargli ragione: oggi, mentre i confini di tutti gli Stati si fanno più stretti, gli animi cosmopoliti sono il tesoro più grande.