Contro il pensiero corrottoQuanto è difficile essere equilibrati nell’Italia dominata dalla sindrome della tifoseria

L’onestà intellettuale è merce rarissima, la cultura è lasciata a pochi. Secondo Vittorio Alberti, autore di “Non è un Paese per laici” (Bollati Boringhieri), in una discussione non prevale lo studio dell’argomento ma il consenso. Cosa pericolosa, i cui effetti si vedranno a lungo

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La laicità, chiamiamola filosofia, chiamiamola libero pensiero, in Italia soffre anche perché ci si divide in squadre su tutto, anche se poi, all’italiana, queste divisioni coprono aree nascoste e spesso miserabili di accomodamento.

L’onestà intellettuale è merce rarissima perché prevale l’uso della cultura o dell’informazione per fini personali o politici, e quando la cultura è sottomessa alla logica politica il libero pensiero muore: Resistenza, foibe, eutanasia, testamento biologico, migranti e mille altri argomenti.

In Italia non ci si divide sulla base di un sapere approfondito, scientifico, onesto, che richiede anche una condotta proporzionata ai drammi che questi argomenti contengono, ma sulla base delle viscere, delle faziosità politiche, dell’opportunismo. Ci si divide con sì o no, e si lucra su questa semplificazione senza sognarsi di approfondire nulla. Perché? Evidentemente perché non serve.

In più, cosa pericolosa, conta la quantità di consenso su un argomento, non lo studio dell’argomento. Si scambia la maggioranza delle opinioni con la verità: se siamo in cinque, e quattro di noi dicono che la capitale d’Italia è New York, allora si darà (e penserà) che è vero. È esemplare il campo di battaglia sui vaccini, nel quale torme di soggetti imbufaliti accusano scienziati anche illustri di essere al soldo di interessi economici dal volto nascosto.

Inoltre, in Italia, quando qualcuno sconfina nel campo della squadra avversaria sembra che lo faccia solo per opportunismo. Per esempio, se uno di sinistra commemora la tragedia delle foibe, o uno di destra commemora la liberazione dal nazifascismo del 25 aprile, queste celebrazioni incrociate hanno il sapore della calcolo perché sullo sfondo è in agguato un’atmosfera da stadio che trasforma la commemorazione in un discorso rivolto a una curva, più che essere espressione di onestà intellettuale.

Da noi, tutto è girato in fazioni e bandiere, spesso estremismo il più delle volte per prudenza o ignoranza, e così tutto si converte in una politica che taglia fuori il pensiero libero.

La stessa parola laicità, nel suo significato classico, diventa bandiera di gruppi perché in giro, mi riferisco anche a intellettuali, c’è molta ignoranza sulle religioni, un analfabetismo che diffonde pregiudizi su ebraismo, cristianesimo e islam, che sono i principali soggetti intorno ai quali si costruisce un discorso anche politico sull’integrazione, le migrazioni, il confronto tra usi e mentalità.

Attenzione: la cultura non è solo libri, banchi di scuola e biblioteche, ma è la nostra armatura di giustizia e libertà.

Non voglio infierire, ma prima di costruire dobbiamo capire a che punto siamo.

Ora pensiamo a questo: le mafie e la corruzione non sono armi contro il libero pensiero? Che libertà di pensiero ci può mai essere se un sistema è dominato da queste forze?

Poi, altro esempio: è libero un pensiero che crede alle cospirazioni? Quanta fortuna ha avuto in Italia la mitologia sul «grande vecchio»? Tutti pregiudizi, ma la conoscenza di un fatto, una persona, un popolo non si costruisce sul chissà, sul mi ha detto, sul figurati se non è così.

Ancora: fare informazione politica parlando delle scorribande dei politici invece che dei problemi politici non è negare il nostro libero pensiero?

Le insidie sono ovunque, e mi viene in mente il liceo dove ho studiato, il Tasso di Roma. Lì si era accusati di essere fascisti se solo ti azzardavi a correggere la grancassa ufficiale dei gruppi studenteschi dominanti. Stessa cosa avveniva, con segno opposto, in altri licei dove, naturalmente, l’accusa era di essere comunista.

Quei gruppi avevano solo parole d’ordine, si parlava di fascismo e antifascismo senza conoscerli e approfondirli, e diversi esponenti politici del tempo (primi anni novanta) sostenevano questo andazzo, salvo poi, dopo pochi anni, trovarseli liberali mentre di colpo, per magia, le occupazioni delle scuole si sono interrotte.

Quel modo di fare, mi riferisco alla sinistra, ha portato dritti dritti a venti anni di Berlusconi. E ora abbiamo la deriva populista e sovranista senza contrapporre ad essa argomenti e credibilità, bensì adottando frasi fatte e un linguaggio conservatore come quello di coloro che al Salone del Libro di Torino del 2019 sono stati capaci solo di evocare il «fascismo fascista» o «fascismo archeologico», così lo chiamava Pasolini.

Costoro non hanno saputo trovare nuovi argomenti, e questo cosa significa? Che non si è fatto un esame laico, un bilancio storico e culturale fin dalla caduta del muro di Berlino e, di qui, la mancanza di idee che abbiamo detto.

da “Non è un Paese per laici. Onestà intellettuale e politica per l’Italia della crisi”, di Vittorio V. Alberti, Bollati Boringhieri, 2020

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