Io della storia della maestra d’asilo licenziata per aver mandato un video porno al fidanzato non ho capito niente. Ma niente. Quindi ora trascrivo gli appunti presi leggendo i vari articoli di ieri per vedere se mi si chiariscono le idee.
C’è una maestra d’asilo nido di paese (la provincia del nord, quel buco nero di moralismo che ci voleva Germi per raccontare) che, durante una storia con un tizio, fa quel che fanno gli esseri umani di questo tempo: gli manda delle foto discinte, dei video zozzi, quella roba che dieci anni fa sarebbe stata impensabile e oggi è normale.
(Le evoluzioni del costume degli ultimi decenni sono sempre rapide, ma il passaggio più rapido è stato quello tra il momento in cui a venire sputtanate da ex fidanzati che si vendevano i loro video intimi erano tizie come Paris Hilton o Kim Kardashian, e noialtre trasecolavamo, «ma come ti viene in mente di farti riprendere nuda, che imprudenza», e il presente, quando le videocamere su qualunque telefono hanno riempito i nostri di immagini discinte, e ci hanno rese – noialtre già moraliste – donne che mandano foto di tette a tutti).
Cosa fanno, ordinariamente, gli esseri umani con qualunque cosa abbiano sul telefono? La inoltrano. Il tizio che se la fa con la maestra d’asilo inoltra il video alla chat del calcetto.
(La chat del calcetto: dove sono gli sceneggiatori che raccontino queste morbosità di provincia, questi ordinari squallori, dove, dove).
Il paese è piccolo e la gente mormora, diceva Faletti a Drive In quand’eravamo piccole: nella chat del calcetto c’è il padre di uno dei bambini del nido. Qui le cronache divergono: il video lo gira lui alla moglie (è la versione di lui: chi non gira alla moglie i video zozzi che riceve dagli amici, è un po’ la prima cosa che fai per rassicurarla circa le tue frequentazioni); o la moglie lo trova smanettando sul telefono del marito (se la sceneggiatura la scrivessi io, sceglierei questa opzione per maggiore plausibilità).
Fatto sta che la moglie riconosce la tizia biotta che si produce in performance erotiche amatoriali: cielo, quella è la maestra del mio bambino.
Qui di nuovo le versioni divergono.
Secondo alcune cronache la mamma inoltra il filmato ad altre mamme e poi minaccia la maestra di dire alla direttrice dell’asilo cosa combina in privato se la tapina si azzarda a denunciare il moroso, amico della mamma, per aver diffuso le immagini.
Secondo il padre del bambino, quello che stava nella chat del calcetto e perciò aveva visto la turpitudine morale della maestra, la moglie si sarebbe limitata a dire alla maestra che «non doveva svilirsi così» (che frase deliziosamente rétro) e che «se avesse continuato con certi atteggiamenti» la coppia di moralizzatori sarebbe stata costretta ad avvisare la direttrice.
Non è chiarissimo quali siano gli atteggiamenti. Se avesse continuato a scegliersi così male i fidanzati? Se avesse continuato a non vivere in castità e luddismo?
Sembra un po’ uno di quei film in cui il mafioso si fa fare i pompini solo dall’amante perché quella della moglie è «la bocca che bacia i miei figli». Se dobbiamo prendere sul serio le parole riportate dalla Stampa, il padre di famiglia avrebbe detto «non posso tollerare che chi si occupa dei miei figli faccia determinate cose».
Ma avrebbe anche risposto «chi ruba viene licenziato» a una notazione dell’intervistatrice sull’ingiustizia di licenziare la maestra per quei video. Una metafora non lucidissima, diciamo, e qui bisognerebbe interrogarsi sulla tempesta perfetta che un caso del genere rappresenta per i social. Dove abbiamo tutti la posizione giusta, pensiamo la cosa giusta, diciamo la cosa giusta. E siamo prontissimi a lapidare l’impresentabile derelitto che fa la morale ai video privati della maestra.
«Io forse non mi esprimo bene», risponde quando l’intervistatrice gli fa notare la mancanza di nesso tra rubare e venire sputtanate dal proprio ex. Sarà un disgraziato che ha fatto le scuole italiane e quindi sì e no sa leggere e scrivere, sarà un cattolico che si aspetta le donne oneste abbiano una camicia da notte col buco come la moglie del Gattopardo, e noi gli chiediamo di adeguarsi a una morale postmoderna, in cui noi abbiamo il diritto di mandare foto di tette a uno sconosciuto con cui flirtiamo su Facebook, e quello ha il dovere di non diffonderle, e se lo fa il resto del mondo ha il dovere di condannare lui come sleale, mica noi come poco di buono.
Ma il vero interrogativo è un altro. Tutta la vicenda è a processo perché la tizia sputtanata li ha denunciati tutti (ha fatto benissimo, spero che i risarcimenti siano cospicui), compresa – per diffamazione – la direttrice che l’ha licenziata dicendo ai genitori che la cacciava perché faceva le cose zozze col fidanzato (come vorrei un filmato di quella spiegazione, altro che porno).
La vera domanda è: in una repubblica fondata sull’illicenziabilità, in cui non puoi cacciare la gente se non si presenta al lavoro, se si mette in malattia tutti i giorni che non prende di ferie, se dice che va ad accompagnare un parente invalido a fare la riabilitazione e poi va all’Ikea, se è banalmente incapace di fare il proprio lavoro; in un paese in cui non si riesce a licenziare nessuno mai, come diavolo è possibile che un asilo abbia potuto licenziare una maestra con la motivazione che nel suo tempo libero questa s’intratteneva un po’ come preferiva col suo fidanzato?
Che razza di giusta causa è? Ho cercato in tutte le cronache e in tutte le interviste, senza capirlo. Qual è la motivazione addotta: che temevano si mettesse a girare i video porno in classe, mentre i bambini coloravano dentro ai bordi? Che le mamme dei piccini erano irritate dalle richieste dei mariti, i quali dopo aver visto il video avevano scoperto quali contorsioni fossero possibili? Che aveva portato lo scompiglio nella squadra di calcetto dei papà, rovinando gli equilibri familiari dei bambini e arrecando loro un danno biologico? Ditemi, vi prego, come hanno fatto a licenziarla, invece di perdere tempo a lapidare quello che ne ha chiesto il licenziamento (non si capaciterà neanche lui di averlo ottenuto).