Nelle cucine stellate gli chef donna sono solo il 3%. E a causa dell’attuale pandemia il numero, già esiguo, potrebbe assottigliarsi ulteriormente. «C’è molto da fare e questo periodo non ci aiuta», ha sottolineato Viviana Varese, imprenditrice del ristorante “Viva”, una stella Michelin dentro l’Eataly Smeraldo di Milano.
“Perché lo chef è uomo?” è l’incontro che il 6 novembre ha inaugurato il Festival de Linkiesta 2020. Moderato da Anna Prandoni, direttrice di Gastronomika, il panel è stato l’occasione di confronto tra l’imprenditrice di “Viva”, Chiara Pavan, chef del ristorante stellato Venissa, Sara Peirone, Responsabile Top gastronomy Lavazza e Cinzia Scaffidi, giornalista e docente presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
Se da una parte la storia professionale della cucina ha origine militare – i primi chef, tutti maschi, erano quelli dei campi di battaglia – dall’altra l’atto di preparare il cibo è, culturalmente, sempre stato ad appannaggio femminile, come ha sottolineato Cinzia Scaffidi. «Con il Novecento le donne hanno poi cominciato ad abbandonare i focolai domestici, dove invece gli uomini hanno iniziato ad essere operativi. E quel luogo, prima privato e non remunerativo, è diventato pubblico e occasione di fare profitto».

Secondo Chiara Pavan, che ha spesso lavorato in brigate in cui era l’unica donna, l’idea attuale di chef è di un uomo-condottiero. «Un’immagine che influisce anche sugli attuali criteri di creatività culinaria. Sono poche le chef stellate: per loro è difficile avanzare di carriera perché hanno un modo di essere leader diverso». La cucina, secondo l’imprenditrice del ristorante Venissa, rimane ancora un luogo fortemente “militarizzato”, costituito da brigate e cadenzato da ritmi serrati. «Io credo invece in una proposta di leadership diversa e diffusa, fondata sulla divisione dei compiti e delle responsabilità. Una partecipazione più circolare che potrebbe far emergere con maggiore forza la donna in cucina».

Per Viviana Varese ciò che conta di più sono invece l’assertività e l’esperienza: «penso che noi donne grazie a queste due strade possiamo diventare ciò che vogliamo e raggiungere le mete prefisse». Già imprenditrice a 21 anni, Varese ha evitato le difficoltà che invece incontra chi entra nel mondo del lavoro: «Essendo io il capo mi sono risparmiata diversi problemi». Attualmente gestisce una cucina tutt’altro che macista ma, anzi, «aperta anche a donne, stranieri e omosessuali che, spesso, subiscono discriminazioni anche maggiori rispetto alle donne che entrano mondo del lavoro». Dialogando dal vivo con Anna Prandoni, Varese ha citato il sous chef che per 9 anni l’ha supportata in cucina. Una donna che riusciva ad essere rispettata più della controparte maschile perché più determinata. «Dobbiamo iniziare a non pensare la realtà come scissa tra maschile e femminile. Sono d’accordo, però, con Chiara Pavan sull’idea di circolarità, che io chiamo orizzontalità, della gestione del lavoro. Responsabilizzare tutta la squadra e renderla partecipe di un nuovo progetto è essenziale».
Secondo Sara Peirone, che grazie al suo lavoro ha conosciuto i più importanti professionisti internazionali di cucina, negli ultimi vent’anni il mondo della ristorazione ha vissuto un’evoluzione per quanto riguarda la questione del “genere” nella leadership. «Anche secondo me è importante essere animate da una forte determinazione, soprattutto se si è a capo di brigate con mentalità ancorate al passato». Come sottolinea Peirone, sono diverse le donne riuscite ad entrare nell’olimpo della ristorazione. Ne sono l’esempio chef stellate come Milena Cantarelli, Nadia Santini, Carme Ruscalleda ed Elena Arzak.

«Le criticità per le donne in cucina emergono quando devono guidare una brigata. Tuttavia, il fatto che ci siano testimonianze femminili di chef che ancora oggi vogliono emergere è un effetto assolutamente positivo di una leadership nuova, diversa e portatrice di valori diversi». Secondo Scaffidi per cambiare le cose, come suggeriscono anche le altre interlocutrici, serve una rivoluzione. Un movimento culturale lento e profondo. Dai risultati duraturi.
Qui potete rivedere l’intero panel.
