«Non si tratta semplicemente di poliziotti che accettano una mazzetta. In Bulgaria, la corruzione è un fenomeno endemico. In questo paese, la corruzione si vede, respira e vive ovunque». Le parole sono di Hristo Ivanov, leader del partito di opposizione bulgaro “Sì, Bulgaria”, intervistato nel corso dell’ultimo episodio del podcast European Democracy Lab, prodotto da Bulle Media per l’Istituto dei democratici europei (disponibile in lingua inglese e francese).
Come altre migliaia di cittadini bulgari, da più di tre mesi a questa parte, anche Ivanov partecipa a proteste in strada e, ultimamente, soprattutto offline, contro il governo bulgaro, guidato da Boyko Borissov.
In effetti, se nei mesi estivi le strade della Capitale Sofia erano gremite, oggi il movimento di protesta ha perso di intensità. Peccato che non valga lo stesso per le cause che lo hanno scatenato.
Cosa è successo quest’estate in Bulgaria
Il movimento di protesta è scoppiato a luglio del 2020, sulla scia di uno scandalo che aveva coinvolto un altro noto volto della politica bulgara: Ahmed Dogan. Dogan è un magnate e il presidente onorario del Movimento per i diritti e le libertà (DPS), il partito di riferimento della comunità turca in Bulgaria.
L’8 luglio scorso, Hristo Ivanov, ha cercato di attraccare – munito di bandiera nazionale – la spiaggia di Rosenets, un promontorio bulgaro sul Mar Nero. In un video diventato virale sui social media, Ivanov finisce in mare respinto dagli agenti del NSO, il Servizio di sicurezza nazionale. Come mai?
In Bulgaria, le spiagge marittime sono di proprietà e dominio pubblico. Ma Rosenets è una cosa diversa. Di fatto, l’area del promontorio è diventata la residenza del magnate Dogan. E sebbene ciò sia, in qualche maniera, un fatto acclarato, non lo era – fino all’8 luglio – che agenti pubblici di sicurezza garantissero l’incolumità di Dogan, vigilando sulla sua villa.
Dopo aver visto Ivanov cadere in mare, il presidente della Repubblica della Bulgaria, Rumen Radev, ha definito mafioso il trattamento riservato a Ivanov. Forse avrebbe fatto meglio a non dirlo, visto che l’affermazione è valsa al Presidente della Repubblica una visita da parte degli agenti che sono alle dipendenze di un altro personaggio: Ivan Geshev, il procuratore generale della Repubblica.
Se lo scandalo legato alla villa di Dogan e all’impiego di forze di sicurezza nazionali, di per sé, aveva creato scalpore, l’attacco al Presidente della Repubblica ha fatto precipitare la situazione. Ed è così che è nato il movimento di protesta che per mesi è sceso in piazza in difesa del Presidente Radev, ma, più in generale dello Stato di diritto nel Paese.
Cosa vuole l’opposizione
Qual è stata la richiesta del movimento finora? Le dimissioni del Primo ministro Boyko Borissov, una figura vista, oggigiorno, come coagulante di un sistema politico in cui, da anni, gli interessi di politici e di oligarchi e dei media sono talmente intrecciati da rendere la Bulgaria un Paese, fondamentalmente, corrotto. I cittadini chiedono anche la destituzione di Geshev dal ruolo di procuratore generale.
Ma è difficile che ciò avvenga. Anche perché a marzo del 2021 si terranno le elezioni politiche. E poi, come dicevamo, il movimento ha perso di intensità. Perché?
Una parte consistente delle proteste era guidata da giovani bulgari residenti all’estero rientrati temporaneamente in patria. È probabile che una parte di queste persone si trovino in altri Paesi dell’Ue attualmente.
Tra l’altro, l’emigrazione massiccia della gioventù bulgara è anche uno dei fattori che può spiegare, in parte, le ragioni per le quali Borissov e altre figure storiche del panorama politico nazionale, siano riuscite a mantenere saldo il potere finora.
Secondo Transparency International, la Bulgaria è al 74 posto nel mondo in termini di lotta alla corruzione. Ed è l’ultimo dell’Unione europea. Nel 2019, soltanto il 21 per cento dei cittadini bulgari mostrava fiducia nei confronti del sistema giudiziario.
Il ruolo dell’Unione europea
Negli ultimi mesi, a Bruxelles e Strasburgo alcuni eurodeputati si sono mossi per sensibilizzare le istituzioni europee a riguardo. Nel mese di ottobre il Parlamento europeo ha anche approvato una risoluzione, non vincolante, che punta il dito contro lo stato di diritto in Bulgaria. I toni della Commissione europea, invece, sono stati più morbidi.
Secondo Mihai Corman, ricercatore in Diritto europeo presso l’Università di Gent intervistato nel podcast, il problema resta soprattutto politico – anche a livello comunitario: «A mio modo di vedere, ci sono ragioni politiche e strutturali che determinano il silenzio. GERB è un partito che viene tenuto in altra considerazione dal PPE, il Gruppo politico più forte nell’UE […] Inoltre, il Primo ministro Bulgaro, è considerato come il guardiano del confine dell’Europa con la Turchia. Nel contesto della crisi migratoria, si tratta di un fatto rilevante».
Secondo Corman, uno degli strumenti più efficaci per poter stimolare un cambiamento in Bulgaria, sarebbe l’introduzione di una condizionalità nella strutturazione ed elargizione di fondi europei, nel quadro del Bilancio pluriennale 2021-2027.
Eppure, proprio i fatti e dibattiti di questi giorni – che peraltro riguardano soprattutto Polonia e Ungheria – dimostrano che la strada per arrivarci è piuttosto complicata.