Uscire dall’impasseIl disperato bisogno di una forza riformista e liberale per salvare l’Italia

Liberarsi di Conte e dei populisti di destra e di sinistra è l’unica e strettissima via per evitare il fallimento annunciato. Salvini e Meloni peggiorerebbero la situazione, ma oggi è l’esito più probabile

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La situazione politica italiana, unica in Europa, è di blocco totale. Il risultato delle elezioni 2018 ha pesato in questi 30 mesi nelle scelte quasi tutte sbagliate dei due governi Conte e continuerà  a pesare per i prossimi mesi in modo drammatico. La figura di Arcuri commissario di tutto e capace di nulla è l’emblema del disastro in corso.

In Parlamento la maggioranza assoluta è di due forze (Cinquestelle e Lega) che per motivi opposti hanno dimostrato di essere populiste e incompetenti. Le elezioni del 2023 si avvicinano e se l’attuale quadro fosse confermato il costo diventerebbe davvero insostenibile.

I Cinquestelle hanno raccolto consensi con misure palesemente sbagliate come il reddito di cittadinanza amministrato da uno sconosciuto incompetente che ha solo il merito di essere amico di Di Maio. Molto hanno promesso e nulla realizzato. Hanno poi dimostrato di essere peggio dei predecessori al governo distribuendo incarichi anche ben remunerati a compagni di scuola (sempre Di Maio), incompetenti di varia natura (Toninelli, Castelli, Patuanelli) purché fedeli o servi sciocchi di Casaleggio/Di Maio prima e chissà di chi oggi.

Lo stesso Conte è l’espressione della logica di governo dei Cinquestelle. Arruolato perché non facesse ombra a Di Maio e Salvini con un profilo di totale irrilevanza, adesso si illude con Casalino di essere invece “vero”, ma dimostra la sua inadeguatezza in modo ormai palese, anche e soprattutto perché sembra non rendersi conto di essere appunto incompetente e inadeguato.

Le gaffe sul numero dei morti covid (350mila secondo lui), sul MES (che provoca nuove tasse), sulla letterina del bambino di 5 anni (patetica e ridicola) dimostrano la pochezza del personaggio. Per fortuna nelle prossime elezioni difficilmente i Cinquestelle supereranno il 10 per cento dei consensi e quindi nei fatti spariranno dal panorama politico, passando da circa 300 parlamentari a 40 con la riduzione del numero da loro stessi proposta. Possono però continuare a fare molti danni da qui alle prossime elezioni.

La Lega ha raccolto voti e consenso sulla paura dell’immigrazione e sulla necessità di sicurezza. Ha cavalcato come Trump negli Stati Uniti e Boris Johnson/Cummings in Gran Bretagna il malessere profondo del ceto medio “lasciato indietro”, dei penultimi che si scagliano con forza contro gli ultimi. Ha cavalcato con figure di nessuno spessore come Borghi e Bagnai, paragonabili a Toninelli e a Castelli, una percezione negativa dell’Europa, salvo poi trovarsi spiazzata quando è apparso chiaro a tutti che senza Europa saremmo in un mare di guai.

Soprattutto è apparsa legata alla figura di Matteo Salvini, costruendo un partito-persona senza contenuto, senza visione che sta progressivamente perdendo il legame con i ceti produttivi del nord. Il successo di Zaia (enorme successo) in Veneto dimostra come toni non urlati e concretezza potrebbero bastare nel deserto attuale della politica italiana, ma Salvini è schiavo della sua ambizione personale ancora una volta vicinissimo alla logica di Trump e di Boris Johnson, e non riesce minimamente a evolvere. Così facendo riporterà la Lega al 15-20 per cento di irriducibili con un peso politico modesto che dipenderà più che altro dalla nascita o meno di un nuovo soggetto. In altre parole la lega resta “residuale” nel senso che raccoglie consenso per mancanza di valide alternative nel centrodestra. Governa localmente, ma farà molta fatica a confermarsi anche in Lombardia e Piemonte senza figure rassicuranti e non urlanti alla Zaia.

Fratelli d’italia sfrutta con abilità gli evidenti errori di Salvini e anche la fine ormai evidente di Forza Italia, prova ne sia che la somma dei consensi tra i tre partiti del centrodestra è assolutamente stabile al 47 per cento. I nostalgici di Forza Italia rappresentano il 6-7 per cento (destinato a calare lentamente e poi a scomparire senza Berlusconi), la Lega era al 34 per cento e oggi è al 23 per cento, e per differenza Fratelli d’Italia passa dal 5 al 17. È probabile che un ulteriore calo della Lega possa favorire la Meloni, a condizione che non ripeta gli errori di Salvini e cioè la personalizzazione del partito e l’ascolto di voci estreme al suo interno. Peraltro lo stile di FDI per ora sembra calvalcare un sovranismo meno stupido di quello leghista, ma manca molto una capacità propositiva di attrazione dei ceti produttivi del nord che ne limita il consenso nazionale in modo evidente.

La posizione del Pd è la più interessante di tutte. In un contesto come quello descritto, il Pd avrebbe tutte le carte in regola per sbaragliare il campo e arrivare al 30 per cento governando in modo quasi maggioritario e scegliendo i propri alleati. Il Pd al 30 per cento sarebbe quello di Giorgio Gori, Tommaso Nannicini, Matteo Orfini, Andrea Marcucci. Ma è come chiedere a un anfibio di diventare mammifero. Il Pd non sarà mai questo perché è dominato da Goffredo Bettini, Dario Franceschini, Andrea Orlando e ancora influenzato da Massimo D’Alema.

Questo Pd quindi non sarà mai in grado di attrarre i voti del lavoro autonomo e del nord perché è visceralmente e ideologicamente contrario al liberalismo riformista. Infatti sceglie di appiattirsi sui Cinquestelle e su istanze populiste egualitarie con un retrogusto vetero-comunista evidente, spende a pioggia su assistenzialismo anni Ottanta con mancette elettorali inutili di tutti i tipi, spreca risorse su reddito di cittadinanza e dimostra in modo plastico a tutti coloro che pagano le tasse e sostengono l’economia del paese di essere ideologicamente fermo su posizioni “tax and spend” incompatibili con la situazione post covid. Infatti resta rigorosamente fermo al 20 per cento e anzi rischia di calare non appena i disastri del governo Conte 2 saranno conclamati.

In Italia manca completamente un’offerta politica liberale e riformista sia di centrosinistra dove Renzi, Calenda e +Europa insieme rappresentano un 10 per cento circa che con il proporzionale potrebbe essere rilevante (purché insieme e non lo sono proprio), ma soprattutto di centrodestra dove l’immanenza di Salvini, Berlusconi e Meloni e l’assoluta mancanza di alternative ha negato in modo totale ogni possibilità di nascita di qualche “cespuglio” liberale, riformista e credibile nella capacità di amministrare.

Paradossalmente è proprio la Lega a rendere l’operazione di nascita di un soggetto politico di questo tipo difficile perché allearsi con l’urlatore Salvini risulta davvero difficile per qualsiasi soggetto credibile.

Ugualmente il Pd (questo Pd almeno) sarebbe molto duro con una formazione nuova e credibile di centrodestra perché renderebbe immensamente più forte lo schieramento antagonista alle prossime elezioni. Lega, FDI e l’attuale Forza Italia vanno benissimo al Pd attuale che rimane ideologicamente fermo nella posizione di superiorità morale, senza minimamente guardare o accettare il fatto che rappresenta il 20 per cento degli elettori contro il 47 delle tre formazioni citate.

C’è da chiedersi quindi come uscire da questo impasse tremendo, visto che le elezioni tra non molto arrivano davvero e se i risultati fossero quelli prospettati dopo il disastro del Parlamento 18-23 sarebbe letale aggiungere quello probabile del 23-28.

Le strade sono relativamente poche purtroppo:

1. L’evoluzione della Lega da Salvini a Giorgetti/Zaia e quindi entrata convinta nel PPE, fine dei deliri anti euro, fine delle urla anti immigrati e una politica di attenzione al superamento della burocrazia e di un progressivo arretramento dello stato nell’economia. È fattibile solo se Salvini fa un passo indietro enorme e quindi ha una probabilità di accadimento oltremodo bassa, forse 0,1%

2. L’evoluzione del Pd da Franceschini/Bettini/D’Alema a una nuova stagione con Gori, Bonaccini, Nannicini, Orfini. Qui le probabilità sono sempre infime anche se non proprio infinitesime come nel caso precedente, forse 2 per cento. In più ci sarebbe una nuova minoranza interna che come è successo con Renzi sarebbe un fuoco amico costante per recuperare al più presto il controllo della Ditta.

3. L’aggregazione in un nuovo soggetto magari a guida Marco Bentivogli delle forze liberali e riformiste che esistono e sono ormai più che evidenti anche nell’elettorato. Dipende poi dalla legge elettorale se l’aggregazione è preventiva (legge attuale) o successiva (legge proporzionale). Se la parte buona della Lega (Giorgetti, Zaia, ma anche Garavaglia), la parte veramente riformista del Pd citata sopra che oggi fa da soprammobile a Bettini, il pezzo di Forza Italia che spera di esistere anche dopo Berlusconi, e forse anche i Crosetto di questo mondo fossero uniti in un nuovo soggetto politico “di centro”, genuinamente riformista e liberale, sarebbe possibile creare una quota di elettorato che risulterebbe imprescindibile per qualsiasi nuovo governo nel 2023.

Il centrodestra definito come Lega e Fratelli d’Italia non avrebbe la maggioranza, e nemmeno il sogno di Bettini di un’alleanza stabile con i Cinquestelle avrebbe nessuna speranza (ammesso e non concesso che ne abbia mai avuta una). Vista la mobilità dell’elettorato e la pochezza dell’offerta attuale, un simile schieramento potrebbe anche raccogliere un consenso imprevedibilmente alto. La probabilità che questo succeda è ugualmente bassa, forse 10 per cento.

Tra l’altro la categoria destra/sinistra di questo schieramento verrebbe superata dalla categoria molto più rilevate oggi riforme vere/immobilità assoluta. I due governi Conte sono l’emblema dell’assoluta immobilità e del riformismo zero, molto per manifesta incapacità, ma anche per la totale assenza di visione sia nei partiti che li sostengono sia nelle persone. Per fare riforme vere bisognerebbe entrare nella burocrazia e nel groviglio legislativo corporativo creato in 40 anni di malgoverno con rare e brevi interruzioni, partendo dalla riforma della giustizia, del fisco, della burocrazia, della modalità legislativa e del rapporto stato/regioni. Bisogna esserne capaci (e non è per nulla facile, men che meno per persone che non hanno esperienza di governo o amministrativa), avere grandissima determinazione e anche qualche anno (almeno una legislatura) per i tempi infiniti del nostro sistema.

4. Non succede nulla e governerà il centro destra di Salvini/Meloni. Questo attualmente è lo scenario più probabile (80 per cento). Tanto più probabile se Salvini abbandonasse parzialmente i toni estremi (gli riuscirebbe difficile ma certamente lo smottamento della Lega non gli sfugge e da abile animale politico ne capisce i motivi), Meloni imbarcasse in FDI qualche volto presentabile (questo invece sarebbe più facile) e Berlusconi (gigante tra i nani di oggi) continuasse ad essere una forza di attrazione tra i moderati anche nel 2023.

Che cosa impedisce il decollo dell’ipotesi 3, che è a mio avviso evidentemente la migliore per il paese? Palesemente le ambizioni personali e il coraggio delle persone. Se si osservano le dichiarazioni e le convinzioni di Renzi, Calenda, Gori, Bentivogli, Marattin, Orfini ma anche Giorgetti, Zaia, Crosetto, Toti, Carfagna la distanza è minima. Tutti vorrebbero uno Stato che funzioni davvero con competenti e non figuranti, tutti vorrebbero la difesa del lavoro (quello vero non parassitario o assistito alla Alitalia maniera), tutti vorrebbero una libera impresa che possa prosperare e non l’invasione dello Stato nelle imprese, tutti vorrebbero una lotta vera all’evasione fiscale, tutti vorrebbero finalmente l’aumento della produttività e il controllo degli sprechi di spesa pubblica. In politica estera tutti sono fortemente atlantisti e europeisti. Il manifesto pubblicato da Marattin sul Foglio a settembre è un’ottima sintesi.

Il grandissimo problema è quello delle persone. Le persone citate, e in particolare alcune di esse, fanno molta fatica, nonostante critichino i partiti personali, a non essere loro stessi partiti-persona. Per metterli sotto lo stesso tetto servirebbe un leader carismatico molto forte (che non esiste e non esisterà) oppure uno sforzo titanico di riduzione delle ambizioni personali. Purtroppo non abbiamo in Italia un Barack Obama che impone Joe Biden al Oartito democratico e vince, perché non esiste il Partito democratico e nemmeno Obama e forse nemmeno il 78enne Biden. Bentivogli mi sembra la personalità più in grado di aggregare per storia e personalità. Ma le persone citate saranno capaci di accettare una leadership ancorché coinvolgente, aggregante e non “personalistica”,  invece di perseguire il sogno (irrealistico) della propria leadership?

Davvero non so che cosa si possa fare per cercare di convincere questi soggetti a iniziare un processo convinto di aggregazione pur partendo da posizioni politiche personali vicinissime tra di loro. La buona politica è la ricerca di affinità e di aggregazione. Oggi la distanza tra Salvini e Giorgetti o tra Gori e Bettini è molto maggiore (e secondo me del tutto incolmabile) nei fatti rispetto a quella tra tutti i soggetti citati. Ma sono ancora tutti schiavi del passato, della loro storia personale e anche ahimè delle ambizioni o convinzioni di “superiorità” relativa, oppure della incrollabile fiducia di rimodificare lo status quo all’interno dell’organizzazione da cui provengono nonostante plurimi segnali opposti.

L’Italia avrebbe un disperato bisogno di una forza politica di centro riformista e liberale che sia sensibile ai temi dei prossimi venti anni (sviluppo sostenibile, ecologia, difesa del buon welfare, produttività, innovazione) contro i populismi di destra e di sinistra. E le persone citate saprebbero anche governare, cioè fare succedere davvero le cose come dice spesso molto correttamente Calenda. Penso che prenderebbero anche una valanga di voti. Pensare invece all’uomo nuovo che non conosce i meccanismi legislativi o come districarsi nella palude burocratica romana senza esperienza, è del tutto velleitario.

Qualche uomo nuovo potrebbe aiutare con competenze specifiche, ma molto difficilmente potrebbe essere uno dei leader in questo contesto. Non ho soluzioni, purtroppo, se non segnalare quanto penso sia cruciale accada davvero nel mezzo di una crisi covid, con il debito pubblico al 170 per cento, una crisi demografica senza precedenti e dopo circa quaranta anni di disastroso malgoverno elettoralistico.

Qualcuno ha idee migliori su come farlo succedere? Ne va del nostro futuro e soprattutto del futuro dei nostri figli e nipoti che con lo status quo sono destinati inesorabilmente ad avere una condizione sociale molto peggiore della nostra, profezia amarissima che i due governi Conte, frutto delle elezioni 2018, hanno reso davvero molto più probabile.