A Bruxelles senza il sì della maggioranzaConte apre alla trattativa sulla cabina di regia del Recovery Plan

In un colloquio con Repubblica e La Stampa, il presidente del Consiglio lancia segnali di disponibilità agli alleati di Italia Viva e del Pd. E conferma che la norma sulla governance del Next Generation Eu – come chiede Renzi – non sarà inserita in legge di bilancio, ma in un decreto. E da Palazzo Chigi precisano: nessun sì al rimpasto

Foto Riccardo Antimiani/LaPresse/POOL Ansa

Dopo l’attacco sferrato ieri in Senato da parte del leader di Italia Viva Matteo Renzi e le critiche arrivate pure dal Partito democratico sulla gestione delle risorse del Recovery Plan, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte affida a un colloquio con Repubblica e La Stampa l’appello di apertura agli alleati di governo. Oggi andrà a Bruxelles per il Consiglio europeo dopo aver incassato il sì sul Mes, ma senza alcun mandato della maggioranza sul piano nazionale di ripresa.

Senza polemizzare troppo con Renzi, il premier cerca di spiegare la sua versione, per chiarire quelli che definisce «fraintendimenti colossali» riguardo alla governance dei fondi del Next Generation Eu affidata a una cabina di regia centralizzata a Palazzo Chigi ed estesa a sei manager. Un metodo che non piace a Renzi e non piace a gran parte del Pd.

«Il mio appello riguarda tutti, non possiamo permetterci che la dialettica sfoci in contrappunti e demarcazioni che ci fanno precipitare in una condizione sterile», dice Conte. «Questo interrogarci chiassoso tra di noi, questo guardarci tra noi che diventa fine a se stesso, non ha nessun significato. Mentre i cittadini attendono che risolviamo le sfide che abbiamo di fronte».

Ed ecco l’apertura a «trattare» per salvare il governo, anche a costo di aprire all’odiata parola «rimpasto», scrivono i giornali. Da Palazzo Chigi però fanno subito sapere: «Conte non ha mai detto che in sostanza è disposto a trattare aprendo anche al rimpasto». Una «non notizia», secondo lo staff del premier.

Conte chiede però che alla base della trattativa ci sia fiducia: «Un governo può proseguire nella sua azione solo sulla base della fiducia di ciascuna forza di maggioranza. Detto questo, avremo tutti i confronti politici con i partiti e ci sarà sempre da parte mia la disponibilità al confronto e al dialogo». Conte è disposto a ragionare: «Non mi ha mai spaventato il confronto e la dialettica tra alleati di governo. L’importante è che questa si traduca in richiesta di apporti, progettualità, e non in un inutile, sterile polemica».

Trattare ma senza rinunciare del tutto alla cabina di regia. «Non c’è nessuna marcia indietro», dice. I manager avranno «in casi residuali poteri sostitutivi e in deroga», ribadisce, per evitare che nel caso in cui «l’amministrazione centrale non voglia o possa intervenire, non si sprechino i fondi». Ovviamente, però, «questo punto è comunque collegato a una deliberazione del consiglio dei ministri». E a Renzi il premier promette però che «la norma sulla governance non andrà in legge di bilancio, ma in un apposito decreto». E che «il Parlamento avrà tutte le possibilità di modificarlo, eventualmente».

Ogni passaggio – questa è la promessa – coinvolgerà le Camere, le forze sociali e soprattutto «il consiglio dei ministri, organo collegiale per definizione, per valutare tutti insieme e approfondire gli aspetti della governance». Il premier promette inoltre di ridurre i trecento esperti previsti a supporto della struttura, che invece «sarà snella». Nessuno «vuole commissariare la politica».

Poi c’è il Parlamento, che secondo l’accusa di Renzi (e Delrio) il premier ha marginalizzato. «Siamo l’unico Paese che ha parlamentarizzato il Recovery plan fin dall’impostazione delle sue linee guida», risponde Conte. «Il Parlamento resterà centrale e anche nella fase di monitoraggio sarà costantemente aggiornato. Ora invieremo alle Camere il documento di aggiornamento al piano. E quando avremo i nuovi atti di indirizzo elaboreremo la versione finale e la invieremo nuovamente in Parlamento».

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