L’indice Rt è il dato ufficiale per l’analisi del trend del contagio: è l’indice di riproduzione della malattia, che dice in media quanti contagi provoca una persona positiva. Ma presenta almeno due criticità: la prima è che viene calcolato solo sui casi sintomatici; la seconda è che i dati pubblicati nel report dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) sono quasi sempre vecchi, di circa 25 o 30 giorni: i numeri sono riferiti alla settimana precedente rispetto alla pubblicazione, e vanno considerati i tempi necessari per la prenotazione del tampone e l’attesa per l’arrivo dei risultati.
La rivista Nature, ad esempio, in un articolo di luglio criticava l’eccesso di fiducia nell’indicatore Rt, un valore sicuramente da monitorare, ma una «potenziale malsana fissazione politica e mediatica», proprio perché non restituisce un quadro aggiornato della situazione epidemiologica di uno Stato, una regione o una qualsiasi altro territorio.
«È per questo che ho elaborato un indice in grado di definire l’andamento dei contagi con maggiore tempestività», dice a Linkiesta Maurizio de Gregorio, ingegnere che collabora con imprese italiane e internazionali allo sviluppo di nuove piattaforme digitali focalizzate sullo studio dei dati.
Circa un paio di settimane fa de Gregorio ha sviluppato, nell’ambito del network Hacking Covid, il CovIndex: un indice in grado di mostrare il trend del contagio, per individuare un miglioramento o un peggioramento della diffusione del virus.
«Funziona con un criterio simile a Rt: i dati osservati sul lungo periodo generano una curva, se il valore è superiore a 1 allora i contagi saranno in aumento, se inferiore a 1 la situazione sta migliorando. La differenza è che i tempi sono più o meno dimezzati, non si va oltre le due settimane di attesa rispetto al rilevamento di Rt, che può essere vecchio anche di 30 giorni», spiega de Gregorio.
Il CovIndex è basato sull’indice di positività, cioè rapporto tra i positivi e il numero di tamponi effettuati (Rpt), un dato che dà indicazioni più corrette e stabili rispetto al valore assoluto dei positivi. Tutti i dati sul nuovo indicatore sono disponibili sia a livello nazionale sia regionale, sia in valori assoluti sia in relazione alla popolazione, sul sito CovidTrends, creato proprio da Maurizio de Gregorio a febbraio: il sito si aggiorna ogni giorno con i dati ufficiali del ministero della Salute.
«Un’ottima notizia – dice de Gregorio – è che calcolando i dati da inizio pandemia il CovIndex non ha mai fornito quello che viene definito un falso negativo: cioè non ha mai indicato una diminuzione dei contagi quando non c’era. Questo vuol dire che è un indice piuttosto affidabile. Ad esempio negli ultimi giorni ho letto diversi articoli ottimismi per un presunto miglioramento, ma il CovIndex dice che siamo a circa 0,9, quindi il miglioramento quotidiano è davvero minimo e soprattutto ancora ribaltabile».
Guardando agli ultimi mesi, e sovrapponendo le due curve generate da Rt e da CovIndex, ci si rende conto che hanno un andamento quasi identico. «Rt ha ancora una precisione statistica maggiore, se Rt misura 1,3 possiamo dire con buona certezza che in media un positivo contagia 1,3 persone. CovIndex è leggermente meno preciso da questo punto di vista, ma il monitoraggio dell’andamento dei contagi è sostanzialmente uguale, con il vantaggio che CovIndex si può calcolare più rapidamente».
Trovare il giusto equilibrio tra un indicazione più precisa e una più veloce non è semplice, «ma il distacco di precisione è minimo e non prenderemmo provvedimenti differenti se Rt cambiasse solo di uno 0,05. È sicuro invece che potremmo prendere misure più efficaci se basate su uno scenario di contagi più aggiornato. Ma questa poi diventa una decisione politica: dobbiamo capire se la piccola differenza di precisione può compensare il ritardo, anche di 15 giorni, che può avere Rt rispetto al CovIndex».
Ovviamente CovIndex, così come Rt, ha bisogno di numerosi dati per essere il più affidabile possibile. È per questo che in molti richiedono dati più precisi in uscita da Roma: la petizione “Dati bene comune” chiede appunto al governo «dati pubblici, disaggregati, continuamente aggiornati, ben documentati e facilmente accessibili a ricercatori, decisori, media e cittadini».
L’idea di fondo è che i dati che vengono pubblicati oggi sono solo un sottoinsieme del totale, e una maggiore diffusione aiuterebbe a studiare con più precisione il vero andamento della situazione epidemiologica. «Ci sarebbero enormi critiche – spiega de Gregorio – da fare al governo sull’utilizzo di queste informazioni: ad esempio sul fatto che nei bollettini si indicano i dati dei positivi in valore assoluto, che non significano niente. Bisognerebbe pubblicare, a beneficio della popolazione, almeno l’indice di positività (Rpt), cioè il rapporto tra positivi e tamponi effettuati. Sarebbe un segnale che chi prende le decisioni ha una certa consapevolezza sull’andamento dei contagi».