La settimana scorsa si è tenuto online il convegno internazionale “Sulla rotta balcanica”, organizzato dalla rete Rivolti ai Balcani e da una cordata di altre associazioni impegnate sul tema, italiane e non. Tra gli oltre venti interventi, hanno parlato anche tre europarlamentari, tutti appartenenti al gruppo europeo Socialisti e democratici (S&d): la slovena Tanja Fajon e gli italiani Pietro Bartolo e Pierfrancesco Majorino.
Nel complesso, le loro riflessioni, un riassunto delle posizioni che l’Europarlamento ha avanzato fin dal 2015, hanno fotografato bene l’attuale stallo in cui l’Ue si trova impantanata in relazione alle politiche migratorie.
Pur con enfasi diversa, tutti e tre hanno: denunciato le violazioni e le storture dell’attuale modello di gestione dei migranti che percorrono la rotta balcanica; espresso il desiderio che le istituzioni Ue ritornino a contrastare queste derive sia crudeli che illegali secondo lo stesso diritto umanitario, e modifichino le normative vigenti in modo che proteggano maggiormente i diritti dei migranti; ammesso – implicitamente o meno – che ciò non accadrà.
La situazione dei migranti bloccati alle soglie dell’Ue pare destinata a deteriorarsi.
Difatti, la Commissione europea, interpretando il clima politico odierno, sembra ormai decisamente orientata verso una gestione del fenomeno in termini meramente securitari. La sintesi più efficace di questo approccio, in controtendenza forse non con le azioni, ma sicuramente con le retoriche precedentemente adottate da Bruxelles, è il Patto sulla migrazione presentato a fine settembre. Una bozza che, pur accogliendo molte delle istanze dei governi più contrari all’immigrazione, non ha peraltro trovato l’assenso di tutti gli Stati membri dopo oltre due mesi.
Pietro Bartolo ha sottolineato come questo piano rifletta in pieno le tendenze recenti, come la pratica delle riammissioni a catena, accomunate dall’obiettivo di trasferire la responsabilità del fenomeno migratorio (e l’esame delle domande di asilo) fuori dai confini comunitari. Le procedure di riammissione, illegali secondo il diritto Ue, de facto negano la possibilità di richiedere diritto di asilo. Così come la negano l’attitudine di Italia e Malta di ritardare gli interventi di salvataggio in mare, lasciando che se ne occupi la guardia costiera libica, e i rimpatri forzati praticati tra Grecia e Turchia e tra Slovenia e Croazia.
Puntando ad aumentare il numero di rimpatri e riammissioni e non la tutela dei diritti fondamentali, la proposta della Commissione va allora nella direzione sbagliata, secondo Bartolo. Che ha inoltre ricordato come prima di procedere al rimpatrio, che deve comunque sempre avvenire su base volontaria, vanno valutati i rischi connessi, tenendo la detenzione solo come extrema ratio. Gli accordi di riammissione dovrebbero essere formalizzati e condivisi tra tutti gli Stati membri, garantendo all’Europarlamento anche la possibilità controllarne l’applicazione.
L’Ue, secondo l’europarlamentare siciliano, non dovrebbe limitarsi a fornire finanziamenti, ma anche potenziare l’azione di agenzie come l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo, nell’acronimo inglese) e collaborare proattivamente con le organizzazione operanti sul territorio.
Tanja Fajon ha riecheggiato le considerazioni del collega di partito, ricordando come di riforma della gestione dei flussi migratori si discuta da oltre dieci anni. Il Parlamento europeo ha già dimostrato di essere in grado di elaborare una soluzione condivisa dalla maggioranza, ma i governi nazionali riuniti nel Consiglio – ostaggi di nazionalismo, populismo ed estremismo di destra – si sono sempre detti contrari.
L’europarlamentare ha inoltre rimarcato come, a fronte di capitali che rigettano pubblicamente il criterio della solidarietà, la fiducia reciproca tra Stati membri si sia erosa a un tal punto che oggi pare impossibile immaginare soluzioni basate su quel valore, come in teoria sarebbe anche il Patto ora in discussione.
Secondo Fajon, oggi l’Ue non ha alcun sincero interesse a delineare una politica migratoria che tuteli i diritti fondamentali dei migranti. Lo sviluppo di quell’approccio onnicomprensivo che sarebbe necessario per gestire i flussi migratori in modo umano ed efficiente, affrontando per esempio le cause dei processi migratori e aprire rotte legali, sembra ad oggi un’opzione remota.
La politica slovena ha spiegato come, sebbene la rotta balcanica esista da decenni, alcuni fattori – l’espansione dell’Ue e la proliferazione delle crisi in Medio Oriente – abbiano contribuito a cambiare il profilo dei migranti che la percorrono. Se nel 2001 a entrare illegalmente in Slovenia erano perlopiù romeni, serbi, macedoni, turchi e iracheni, nel 2015 i migranti provenivano soprattutto da Siria, Afghanistan e ancora Iraq.
Nel 2020, nonostante la costruzione della barriera al confine serbo-ungherese e la disposizione di filo spinato su quello sloveno-croato, le persone – in maggioranza bangladesi, afgani, pakistani e marocchini – continuano a spostarsi. L’Europa è sempre stato un continente attrattivo come meta migratoria e continuerà a esserlo, ha affermato Fajon.
Si è infine spesa in un richiamo al suo paese, la Slovenia, che dopo l’insediamento del governo guidato dal sovranista filo-orbaniano Janez Janša non solo sta collaborando con l’Italia nei rimpatri illegali, ma nonostante i numeri in calo ha approvato la possibilità di detenere richiedenti asilo in attesa di giudizio e sta meditando di schierare l’esercito alla frontiera.
Intervenendo dopo i due colleghi, Pierfrancesco Majorino ha esordito constatando come le opinioni del suo gruppo parlamentare siano minoritarie sia all’Europarlamento, che l’anno scorso ha bocciato (per due voti) una risoluzione per potenziare il soccorso in mare aperto alle imbarcazioni di migranti in difficoltà, che nell’opinione pubblica continentale.
Anche l’europarlamentare milanese ha definito «deludente» il piano presentato dalla Commissione, inadeguato secondo lui ad affrontare la sfida del governo dei flussi e a stimolare la corresponsabilizzazione degli attori coinvolti.
Le politiche varate finora dall’Ue intendono la gestione della migrazione solo come un tentativo di ridurre il danno, conformandosi a un punto di vista politico e culturale che dimentica come i migranti siano persone. Affermazione che, nel clima politico odierno, secondo Majorino, ascrive subito a un «gruppo di buonisti illuministi», ma che va invece abbracciata in tutta la sua radicalità, essendo in gioco principi irriducibili, come la dignità umana.
I respingimenti attuati sulla rotta balcanica, che hanno riguardato gruppi di individui migranti e non singoli come previsto dal diritto europeo, sono stati il frutto di una logica da fortezza assediata, impregnata di paura e rancore. E l’Unione, secondo Majorino, non dovrebbe limitarsi a tutelare i titolari di protezione, ma anche smettere di respingere «chi cerca fortuna per sé e nucleo familiare».
Per evitare di esternalizzare la gestione del fenomeno migratorio, il blocco comunitario dovrebbe inoltre schierare proprie missioni comuni nel Mediterraneo: «solo parlando con una voce sola si può interagire alla pari con soggetti come la Turchia», ha chiosato l’esponente socialdemocratico.
Due giorni dopo il convegno, il gruppo S&d ha chiesto le dimissioni del direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri in seguito all’emersione di report che confermerebbero come l’agenzia Ue per la gestione delle frontiera abbia attivamente collaborato con la polizia di frontiera greca nei respingimenti di migranti verso le acque territoriali turche.