Sud contro Est contro Nord EuropaIl patto della Commissione sui migranti non mette d’accordo nessuno

Italia, Spagna, Grecia e Malta uniscono le forze per chiedere una soluzione che preveda ricollocamenti obbligatori. L’Austria e il gruppo di Visegrad spingono in senso opposto

Lapresse

Che il Pact on Migration lanciato dalla Commissione europea lo scorso settembre non avrebbe avuto vita facile era scenario previsto nelle istituzioni di Bruxelles. Meno prevedibile era che le posizioni degli Stati europei, chiamati a discuterlo e approvarlo, risultassero così inconciliabili già all’inizio dei negoziati.

L’incontro fra il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il suo omologo spagnolo Pedro Sánchez è stata l’occasione per pubblicizzare una lettera inviata da parte dei due Paesi, insieme a Grecia e Malta, ai vertici europei. La missiva, che è indirizzata alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ma anche al presidente del Consiglio Charles Michel e alla cancelliera tedesca Angela Merkel (la Germania detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea) reca un messaggio chiaro: i Paesi di frontiera non possono affrontare la pressione migratoria da soli, come hanno fatto finora.

Italia, Spagna, Malta e Grecia chiedono ricollocamenti obbligatori
Al di là delle dichiarazioni di rito in cui ringraziano la Commissione per aver pensato a un nuovo patto sulle migrazioni, i quattro governi rimarcano “lo squilibrio nei meccanismi di solidarietà e responsabilità”. Tradotto dal linguaggio diplomatico, si sentono estremamente penalizzate dalle regole proposte, con cui resterebbero senza le spalle coperte dal resto d’Europa.

Il più importante nodo del contendere è sempre lo stesso: il ricollocamento obbligatorio dei migranti in tutti i Paesi dell’UE, che deve «essere perseguito come principale strumento di solidarietà». Anche perché gli altri, previsti dalla Commissione proprio per evitare le quote obbligatorie, appaiono, probabilmente a ragione, «vaghi e complessi».

Oltre alla redistribuzione volontaria con contributi dal budget europeo come contropartita è presente sì un meccanismo obbligatorio, ma con condizioni così tortuose da rischiare di rivelarsi inefficace. Quando un Paese UE è «sotto pressione o a rischio di esserlo», le quote di migranti da ripartire possono essere “convertite” in persone da accogliere, da rimpatriare o perfino in aiuti logistici. Si ammorbidisce, ma non si rimuove nella sostanza il principio cardine del regolamento di Dublino: in linea di massima la maggior parte delle persone in arrivo su suolo europeo potranno chiedere asilo soltanto al Paese di primo ingresso.

Il motivo di questo orientamento da parte della Commissione è chiaro: chiedere agli Stati in prima linea una stretta all’ingresso non è divisivo, perché (almeno teoricamente e nelle intenzioni dell’esecutivo europeo), riduce i flussi in entrata, a vantaggio di tutti i 27. Al contrario, un meccanismo di redistribuzione obbligatoria che imponga di ospitare sul territorio nazionale cittadini extracomunitari sarebbe un sollievo per alcuni Stati e un aggravio per altri: in termini economici ma soprattutto politici, con i governi che dovrebbero far digerire alle rispettive opinioni pubbliche la solidarietà europea e le destre radicali del continente pronte a soffiare sul fuoco.

La proposta della Commissione, quindi, insiste molto sull’idea di sbarrare la strada in modo rapido ed efficace a chi non è considerato candidabile alla protezione internazionale. Ma per gli Stati dell’Europa meridionale, che hanno sperimentato in questi anni la difficoltà del controllo degli accessi, questa è una fictio juris, una norma che sarebbe scavalcata dall’impossibilità concreta di essere applicata.

A Spagna, Grecia, Italia e Malta non piace neppure la procedura del pre-entry screening, uno dei pilastri del Pact on Migration, che prevede di identificare tutte le persone arrivate in modo irregolare alle frontiere europee in cinque giorni e nei pressi delle frontiere stesse. Il rischio, peraltro già sottolineato da diversi osservatori e Ong, è quello di replicare immensi campi profughi come quello di Moria.

Così come viene criticata l’assenza di una parte dedicata ai canali legali di immigrazione (ma la Commissione ha promesso che ci lavorerà in parallelo) e richiesta maggiore attenzione alla “dimensione esterna”, cioè all’insieme dei rapporti fra l’UE e i Paesi terzi da cui provengono o per cui transitano i migranti.

Nell’unica frase evidenziata in grassetto di tutta la lettera si legge infatti la necessità di «investire nelle relazioni politiche con i nostri partner nelle migrazioni». Che significa, in sostanza, più risorse all’altra sponda del Mediterraneo per controllare le partenze e accettare i rimpatri.

Lo scontro annunciato con i Paesi dell’Est
Oltre ai punti da modificare, l’Europa meridionale suggerisce anche l’approccio ai negoziati, da condurre con la stessa caparbietà che ha portato all’accordo dello scorso luglio su Next Generation e bilancio dell’UE. L’asse formato da Spagna e Italia, governi ora simili per orientamento politico, punta ad essere il nucleo di un blocco risoluto nelle sue richieste a Bruxelles sul tema migratorio.

Peccato che dall’altra parte delle Alpi, dei Pirenei e dei Balcani non sembra esserci troppa disponibilità. La riunione degli ambasciatori di giovedì 25 novembre non ha lasciato segnali incoraggianti, tanto che un diplomatico citato dal quotidiano Politico ha parlato di «ritorno al punto di partenza» sulla questione migratoria.

Da fonti del Consiglio risulta che l’impalcatura del Pact on Migration non soddisfi nemmeno i Paesi dell’Est Europa. Ma per motivi opposti: il blocco di Visegrad, sostenuto dall’Austria, ritiene che il meccanismo di solidarietà che consente di rimpatriare i migranti invece che accoglierli possa trasformarsi in un boomerang.

Se non riuscissero a portare a compimento i rimpatri, infatti, questi Paesi dovrebbero accettare di ricollocare sul proprio territorio le persone “prese in carico”, eventualità che i governi orientali non vogliono minimamente prendere in considerazione. La guerra di trincea che si prospetta fra il blocco del Sud e quello dell’Est non lascia intravedere la possibilità di passi in avanti nei negoziati, almeno nel breve periodo.

Il prossimo Consiglio Europeo (10-11 dicembre) sarà dedicato alla Climate Law e ai dossier scottanti della Brexit e del veto sul budget europeo.Di politiche migratorie si parlerà dunque solo nel 2021, quando la Germania avrà ceduto al Portogallo la presidenza di turno del Consiglio dell’UE e la Commissione proverà a far accettare a tutti un compromesso che per ora non piace a nessu

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