A chi chiedeva maggiore solidarietà sui migranti, la Commissione europea ha risposto proponendo maggiore solidarietà contro i migranti, perlomeno quelli irregolari. Le proposte contenute nel New Pact on Migration and Asylum sembrano puntare dritto verso un rafforzamento dei confini esterni piuttosto che su una condivisione dei flussi migratori fra gli Stati europei.
Ancor prima di esaminare il contenuto dell’intero pacchetto, salta all’occhio ciò che manca: una sostanziale riforma del sistema di Dublino. Formalmente il regolamento in vigore verrebbe rinominato con un più neutro Asylum and Migration Management Regulation, ma quello che rimane quasi inalterato è il “principio del Paese di primo ingresso”.
È vero, aumentano le fattispecie di eccezione: legami familiari estesi ai fratelli, titolo di studio ottenuto in un Paese o parenti del richiedente che vi hanno già presentato domanda, diverrebbero tecnicamente i primi criteri presi in considerazione nell’individuazione dello Stato membro a cui rivolgere la propria domanda. Ma a parte questi casi, comunque minoritari, chi entra in Europa chiedendo asilo potrà farlo (ancora) soltanto nel luogo dove arriva.
Rimpatri più facili e veloci
L’intento generale della nuova impalcatura, articolata in 5 proposte legislative, 3 raccomandazioni e un testo di linee guida, è ridurre in maniera consistente la presenza in Europa di migranti irregolari. Lo confermano i numeri: ogni anno nell’Unione, circa 370mila richieste d’asilo vengono respinte, ma soltanto un terzo di queste persone viene riportato indietro.
Lo dice subito, a scanso di equivoci, la Commissaria agli Affari interni Ylva Johansson durante la presentazione alla stampa: «Abbiamo avuto 142mila arrivi nel 2019. La maggior parte di loro non ha il diritto di restare». La strategia della Commissione per raggiungere l’obiettivo abbraccia tutti gli aspetti del fenomeno: gli arrivi, le richieste di asilo, i rimpatri.
Si parte dalla sorveglianza e dal pattugliamento, con la volontà di creare una Guardia Costiera europea entro il 2021 e dotarla di 10mila agenti. Chiunque arriverà alle porte dell’Europa senza autorizzazione verrà sottoposto a una pre-entry screening: identificazione, controlli sanitari e di sicurezza e registrazione completa nel sistema Eurodac.
Una procedura rinforzata rispetto a quella attuale (che già prevede il rilascio delle impronte digitali) e che soprattutto verrà svolta sotto coordinamento europeo e non più nazionale. Tutto il processo potrà durare secondo la proposta al massimo cinque giorni e dovrà svolgersi in “luoghi vicini ai confini”.
I Commissari si sono guardati dal dirlo, ma si tratta in buona sostanza del famoso “approccio hotspot”: strutture il più possibile avulse dall’ambiente circostante, che evitano nel concreto l’ingresso del migrante irregolare nel territorio nazionale. A questo punto c’è la prima scrematura. A chi può costituire una minaccia per la sicurezza, presenta una richiesta d’asilo ingannevole o semplicemente ha una nazionalità con poche chances di protezione internazionale (meno del 20%) tocca la border procedure: una disamina accelerata della propria domanda d’asilo (massimo 12 settimane), seguita da un rimpatrio altrettanto veloce in caso di esito negativo.
La Commissione sostiene che in questo modo verrà evitato a molti migranti un “limbo”, una lunga attesa prima di vedersi comunque negato il permesso a restare in Europa.
Per queste persone è necessario che siano rapidi anche i ritorni verso i Paesi d’origine, che verranno presi in carico a livello comunitario: l’agenzia Frontex diventerà, parole del documento ufficiale, «il braccio operativo della politica di rimpatrio europea», con la garanzia di un meccanismo di monitoraggio indipendente a controllare che non avvengano respingimenti illegittimi.
L’intento deterrente, già abbastanza chiaro dalla lettura della proposta, viene ribadito dalla Commissaria Johansson: «Coloro che non sono autorizzati ci penseranno due volte, o anche di più, prima di provare a entrare illegalmente nell’Unione europea».
Una solidarietà particolare
Più morbido nei toni e focalizzato sull’approccio comune al tema è l’altro commissario che ha lavorato al Pact, il greco Margaritis Schinas, addetto alla Promozione dello stile di vita europeo. Visto che «l’Unione europea non può fallire una seconda volta» nello stabilire un sistema condiviso, viene proposto un ingegnoso meccanismo di solidarietà. In tempi tranquilli, gli Stati Membri che volontariamente collocheranno richiedenti asilo sul proprio territorio otterranno dei contributi dal budget Unione.
Nei momenti in cui uno dei Paesi è “sotto pressione o a rischio di esserlo”, invece, il meccanismo di redistribuzione diventerà obbligatorio. Ma con una sorta di “scappatoia”: ci saranno sì delle quote di migranti da ripartire, basate per metà su popolazione e per metà sul Pil di ogni Stato membro, ma questo stesso Stato potrà decidere se “trasformarle” in persone da accogliere o in aiuti di altro tipo (costruzione di centri o supporto logistico).
Oppure, lo Stato in questione potrà scegliere la strada della return sponsorship, una delle proposte più innovative dell’intero pacchetto: dovrà farsi carico di una quota di richiedenti asilo le cui domande sono state respinte da uno Stato di frontiera e organizzarne il rimpatrio entro 8 mesi, pena l’obbligo di accoglierli sul proprio territorio.
In questo modo la Commissione riesce a sviluppare un sistema di “alleggerimento” della pressione migratoria sugli Stati meridionali, senza oltrepassare la linea rossa tracciata da quelli dell’Est, che di quote obbligatorie da sistemare a casa propria non hanno mai voluto sentire parlare.
Il motore aumenta i giri nel momento in cui un Paese si trova in uno stato di “crisi migratoria”, che metta a repentaglio il suo sistema di gestione dell’asilo. Quando questo viene certificato dalla Commissione, ogni rimpatrio sponsorizzato deve essere eseguito in meno di quattro mesi e non è più possibile finanziare misure alternative.
Si allargano pure i cordoni del regolamento: le settimane per la border procedure da 12 diventano 20 e i richiedenti in essa coinvolti possono appartenere a Paesi con un tasso di riconoscimento di protezione inferiore al 75 per cento.
Oltre ai casi di “pressione” e di “crisi”, il meccanismo di solidarietà entra in gioco anche a seguito dei salvataggi in mare, un aspetto che riguarda da vicino l’Italia, spesso interessata dagli approdi di navi umanitarie o dalle operazioni della sua stessa Guardia Costiera. Qui il regolamento si fa tortuoso: la Commissione stila una previsione del numero di salvataggi che saranno effettuati nell’anno successivo, chiedendo ai vari Stati membri di offrirsi per la ripartizione dei migranti.
Se le offerte volontarie non bastano, entreranno in gioco quelle obbligatorie, ma sempre con la possibilità per un Paese di “convertire” i richiedenti asilo da ospitare in quote di migranti respinti da rimpatriare nei Paesi d’origine. In linea teorica questo meccanismo potrebbe in effetti sostenere la gestione migratoria di Paesi come l’Italia, che hanno un alto tasso di dinieghi alle domande d’asilo (quasi il 65 per cento nel 2019) ma non riescono a effettuare tutti i rimpatri che vorrebbero (poco più di 7mila l’ultimo anno a fronte di circa 600mila immigrati irregolari).
In attesa di conoscerne tutti i dettagli, l’intero pacchetto dell’esecutivo europeo sembra guardare proprio ai Paesi di frontiera, senza però pestare troppo i piedi a quelli di Visegrad. Questo «equilibrio tra responsabilità e solidarietà», come lo ha definito la presidente Ursula von der Leyen, è forse l’unica tattica possibile per passare indenne al Consiglio europeo, dove si arenò l’ultima proposta di riforma del sistema di Dublino nel 2018.
Ma se il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo definisce «un importante passo verso una politica migratoria davvero europea», non mancano le voci della società civile europea che paventano nuove situazioni come quella di Moria o accusano l’Europa di trasformarsi in “un’agenzia di rimpatri”.
E questa volta a mettersi di traverso potrebbe essere il Parlamento, che chiedeva un testo più ambizioso e che, soprattutto nella parte sinistra dell’emiciclo, spingerà per delle modifiche incisive.
Un primo assaggio della reazione dei deputati si avrà già nella giornata di oggi, con i due commissari Schinas e Johansson attesi in audizione presso la Commissione Diritti Civili dell’Eurocamera.
La palla infatti passa ora nelle mani delle altre due istituzioni europee, che dovranno concordare internamente la loro linea, prima di procedere ai cosiddetti “triloghi”, i negoziati interistituzionali con cui si costruiscono le nuove leggi nell’Unione europea. La Commissione auspica di arrivare all’approvazione dei punti fondamentali già entro la fine dell’anno: una speranza probabilmente destinata a rimanere tale.