Il tira e molla sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) durato 15 mesi, fra trattative fallite e aut aut, non ha raggiunto alla fine alcun effetto. E ora la maggioranza rischia davvero. E lo stesso, se non di più, vale per il governo – scrive Repubblica.
La lettera con la quale 42 deputati e 16 senatori grillini minacciano di bloccare la ratifica del nuovo Mes, subordinandola a una serie di condizioni mirate a ottenere il no esplicito all’utilizzo della linea di credito destinata alla sanità, piomba sui giallorossi. E rende il pericolo di una crisi pre-natalizia sempre più concreto.
Il 9 dicembre, quando il premier Giuseppe Conte farà le sue comunicazioni in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo che dovrà ratificare l’accordo raggiunto all’Eurogruppo, la coalizione di governo potrebbe non avere i numeri per dare via libera alla riforma concordata con Bruxelles. O, ancora peggio, raggiungerli solo grazie all’aiuto indiretto di una parte di Forza Italia, anche questa divisa dopo il no di Berlusconi, e al sostegno dichiarato di qualche esponente di centrodestra.
Il che metterebbe definitivamente nero su bianco il fallimento dell’alleanza fra centrosinistra e M5S. «E se accadesse, sarebbe un disastro agli occhi dell’Europa», spiega un non meglio specificato ministro a Repubblica. «Sulla politica estera maggioranze incerte non sono tollerate: ne va della credibilità del Paese».
La stessa valutazione si starebbe facendo in queste ore al Quirinale: il voto contrario sulla riforma del Mes sarebbe uno schiaffo all’Europa e aprirebbe una crisi politica perché costringerebbe fatalmente Conte a salire al Colle. Spianando la strada a elezioni anticipate per eleggere un Parlamento ridotto di 600 componenti, invece degli attuali 915.
Dal Nazareno trapela grande ira: «Il Pd non voterà mai una mozione parlamentare dove c’è scritto che non si deve usare il Mes sanitario», fanno sapere. Lo stato maggiore grillino entra in allarme. E partono le trattative con i dissidenti: un gruppo trasversale, che mescola l’ala ortodossa di Alessandro Di Battista ai fedelissimi di Luigi Di Maio Di Maio, tutti uniti contro il reggente Vito Crimi, accusato di aver avallato la linea pro-Mes di Conte e Gualtieri senza aver prima consultato i parlamentari. Alcuni di loro hanno minacciato persino il no ai decreti sicurezza, ormai in dirittura d’arrivo.
Nel giro di un paio d’ore, due deputati (Fantinati e Di Stasio) smentiscono di aver mai sottoscritto il documento. De Carlo ritira invece la firma, come pure la senatrice Russo. L’obiettivo dello stato maggiore dei Cinque Stelle è prosciugare la fronda fino a renderla irrilevante. Così da arrivare domani sera, all’assemblea congiunta dei gruppi, con la rivolta sotto controllo.
Ma l’esito non è per nulla scontato. Se i 54 dissidenti rimasti (39 alla Camera, 15 al Senato) dovessero votare contro la risoluzione pro-Mes, i giallorossi andrebbero sotto in entrambi i rami del Parlamento. Al Senato la soglia di maggioranza mancherebbe per sei voti; alla Camera per 16. La risoluzione potrebbe pure passare, magari con qualche aiuto esterno, ma sarebbe comunque una sconfitta politica.
Il governo però avrebbe già in tasca una possibile mediazione: l’Italia dirà sì alla riforma del Mes, ma qualsiasi richiesta di credito relativo al fabbisogno sanitario dovrà essere subordinata a un voto parlamentare. Un compromesso che salverebbe il governo.