In Europa passa piuttosto sottotraccia, in Italia si trasforma in un tumultuoso dibattito che spacca sia la maggioranza che l’opposizione: è la vicenda del Mes, che ora si arricchisce di un nuovo capitolo. I ministri delle Finanze dell’area Euro hanno dato l’assenso alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, preparando il terreno alla sua approvazione definitiva da parte del Consiglio Europeo. Il governo italiano, che a lungo aveva tenuto in stand-by l’intero processo, sembra aver sciolto definitivamente le sue riserve.
Ci sono due aspetti fondamentali da chiarire nella decisione che arriva dall’Eurogruppo. Il primo è che questo via libera non è vincolante, ma serve come base d’accordo per il prossimo Consiglio Europeo, dove a decidere sulla riforma del Mes saranno i capi di Stato e di governo dei 19 Paesi interessati. In caso di intesa, la firma del trattato, cioè l’atto che rende davvero operativo questo consenso, potrebbe avvenire il 27 gennaio 2021. Dato che il Mes è un trattato internazionale, inoltre, ogni variazione deve essere approvata in via definitiva dai Parlamenti nazionali: il processo perché la riforma entri in vigore è quindi ancora lungo e non del tutto esente da ostacoli.
La seconda premessa è stata sottolineata con enfasi dal ministro dell’Economia italiano Roberto Gualtieri nella sua audizione davanti alle commissioni Bilancio, Finanze e Politiche europee di Camera e Senato: l’approvazione di questa riforma non equivale all’attivazione del Mes da parte dell’Italia. Anche quando sarà approvata definitivamente, la modifica non comporta nessun obbligo per il nostro Paese (come per nessun altro) di richiedere prestiti al fondo.
Cosa c’è nella riforma
La riforma è sostanzialmente un allargamento delle competenze del Mes, un fondo che dispone di 80 miliardi di euro versati dai Paesi aderenti e può raccoglierne altri 620 sui mercati emettendo obbligazioni proprie. «Una pietra miliare per rendere la nostra unione monetaria più forte», l’ha definita lo stesso direttore del fondo Klaus Regling.
Con la modifica del trattato, i soldi del Mes potranno finanziare non solo direttamente gli Stati, ma anche il Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund – SRF), una sorta di rete di protezione per le banche a rischio. Questa clausola, chiamata common backstop, interviene solo nel caso in cui l’SRF sia a corto di liquidità ed è a detta dei ministri delle Finanze una novità fondamentale, perché rende più sicuro il sistema creditizio dei paesi aderenti all’euro.
Se i membri dell’Eurogruppo considerano il backstop un passo importante in vista di un’unione bancaria, i critici della riforma invece sostengono che il fondo “salva-Stati” si sia così trasformato in un “salva-banche”.
Per ottenere i prestiti sarà possibile usufruire di linee di credito precauzionali, senza concordare misure economiche con il fondo. Ma non per tutti. A queste linee potranno accedere solo quei Paesi che rispettano i parametri definiti dal trattato di Maastricht: rapporto deficit/Pil inferiore al 3%, rapporto debito/Pil al 60% o in riduzione di 1/20 annuo all’anno della parte superiore al 60%, assenza di vulnerabilità e squilibri nel settore finanziario.
L’Italia, così come altri nove Paesi, non rientra in questi parametri e potrebbe ricevere i prestiti soltanto sottoscrivendo un memorandum d’intesa, cioè un accordo dettagliati di riforme per uscire dalla situazione di crisi economica (come già avviene ora). Sono le famose condizionalità, invocate dai detrattori del Mes per sostenere la pericolosità nell’uso di questo strumento
Un altro nodo cruciale nella riforma sono le cosiddette “Cac”, clausole di azione collettiva. Si tratta operazioni che gli Stati concordano con i propri creditori nel caso non riescano più a pagare i debiti contratti. Con il nuovo Mes sarà più rapido metterle in atto, perché servirà un solo voto favorevole da parte della maggioranza detentori di obbligazioni statali e non uno per ciascun tipo di obbligazione.
Il board del Mes sostiene che questa modifica serve per rendere eventuali ristrutturazioni del debito più veloci e ordinate, salvando così i Paesi all’ultima spiaggia dagli speculatori e dai fondi avvoltoio. Rendere una ristrutturazione più agevole però, obiettano alcuni economisti, rischia anche di renderla meno costosa per lo Stato interessato e quindi più probabile. Una ristrutturazione del debito più probabile a sua volta potrebbe scoraggiare i mercati dall’acquistare i titoli di uno Stato in difficoltà, perché gli investitori avrebbero paura di ricevere meno di quanto gli spetta.
Le ripercussioni in Italia
Che sia o meno una «buona notizia per cittadini e imprese» come la definisce il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, la modifica fa molto discutere in Italia. «La riforma del Mes e il suo utilizzo sono due elementi totalmente distinti», si è affrettato a puntualizzare, a ragione, Vito Crimi, il capo politico del Movimento 5 Stelle. Come gli hanno fatto notare in molti, però, il Movimento è sempre stato contrario pure alla riforma in sé: in un noto articolo sul Blog delle Stelle dell’anno scorso la si rigettava perché portatrice di «condizioni ancora più rigide per accedere agli aiuti finanziari e di un potere di sorveglianza sulle finanze pubbliche ancora più pervasivo».
Molti dei pentastellati non sembrano aver cambiato idea in merito, a cominciare dalla capo-delegazione al Parlamento Europeo Tiziana Beghin, che considerano la modifica un semplice maquillage, che non cambia «i contorni di uno strumento vecchio e inadatto». Ancora più duro Pino Cabras, vicepresidente M5S della commissione esteri alla Camera: «Il ministro Gualtieri va avanti con una riforma peggiorativa, trasformandoci in agnelli che dovrebbero sentirsi rassicurati da chi brandisce un coltello perché promette di non usarlo».
I contrari al nuovo Mes fra Montecitorio e Palazzo Madama avranno comunque l’opportunità di farlo presente al presidente del Consiglio il prossimo 9 dicembre, quando Giuseppe Conte riferirà alle camere in vista del Consiglio Europeo. Un voto contrario dell’aula farebbe saltare tutto: soprattutto al Senato i numeri non sono rassicuranti e sarà importante capire quanti dei 92 membri del Movimento 5 Stelle sosterranno il proprio governo e quanti la linea “originaria” del partito.
In soccorso della maggioranza divisa arriveranno quasi sicuramente i voti di Forza Italia, che, al contrario del resto del centro-destra, ha più volte manifestato la volontà sia di supportare la riforma, che di accedere alla linea di credito del Mes per rispondere alla pandemia da Coronavirus. Presumibilmente le schermaglie politiche proseguiranno sia nella coalizione di governo che in quella d’opposizione, trascinandosi in alcuni casi dentro ai partiti stessi, come già sta succedendo nel Movimento 5 Stelle.