«Dimettiti e poi ritorni»Conte lascia per restare, ma con la crisi formale non è lui a dare le carte

Il presidente del Consiglio rimette il mandato a Mattarella con in tasca la promessa dei partiti, che si sono impegnati a sostenerlo a prescindere. Però, anche in caso di reincarico, rimanere a Palazzo Chigi sarà una faticaccia, ci sono responsabili da trovare, nuovi gruppi da formare e soprattutto Matteo Renzi da convincere

da Wikimedia Commons

Oggi è un altro giorno, si vedrà: tutto è possibile in questa crisi politica che da stamattina diventa vera e propria crisi di governo con Giuseppe Conte che si dimette e la parola che passa al Capo dello Stato.

L’operazione-salvezza dunque è fallita, Conte ha tentato tutti ma tutti gli hanno detto di no, non erano veritiere le veline che ogni due per tre assicuravano che i numeri c’erano, non erano serie le tesi sulla “quarta gamba”, non erano sincere le promesse di sfondamenti nel partito di Renzi, non erano realistiche le sviolinate binettiane e ciampolilliane: tutta cartapesta impiastricciata di colla come quella dei presepi che si sbaraccano dopo la Befana. 

Dopo un lunedì reso ancora più grottesco per il pasticcio sulle Olimpiadi a cui andremo senza Tricolore e i rimbrotti di Confindustria sul famigerato Recovery plan, l’avvocato del popolo ha infine gettato la spugna. «Dimettiti e poi ritorni», gli hanno spiegato i professionisti del Pd, in verità un po’ straniti anche loro (non pronunciano più le elezioni, come volevasi dimostrare) e lui che resisteva resisteva resisteva – «ma io vado in Parlamento su Bonafede» – anche confuso da profezie illusorie evocate in mattinata da Goffredo Bettini, ormai forse l’ultimo dei contiani rimasto nella giungla del premier. 

Ma la guerra è finita, almeno questa prima parte, ed è finita con Conte che lascia palazzo Chigi in un’atmosfera rarefatta, politicamente malmostosa, piena di trappole e infingimenti, epilogo mesto frutto di una caparbietà avvocatesca che è il contrario della sapienza politica.

Il film che inizia oggi non ha una sceneggiatura definita, e per questo forse non ha torto il Pd quando ipotizza tempi non esattamente brevissimi: il contrario di quella crisi-lampo pretesa dall’avvocato che vorrebbe una sequenza da film di 007, dimissioni-reincarico-nuovo governo (magari dopo consultazioni super-veloci, praticamente formali). 

Sergio Mattarella ha fretta di chiudere per il bene del Paese ma i tempi di una crisi non li decidono quei pasticcioni dj Rocco Casalino e Marco Travaglio, che hanno dato una bella spinta – soprattutto il secondo – alla barca dell’avvocato mandandola a infrangersi sugli scogli persuadendo quel neofita della politica che tutto fosse nelle sue mani, mentre invece non era affatto così. 

Quindi dopo un veloce giro di consultazioni ci sarà il prevedibile reincarico a Conte – è sempre così quando un premier lascia senza essere stato battuto in Parlamento – e per il presidente del Consiglio comincerà un lavoraccio per far nascere quei gruppi di Responsabili-Costruttori indispensabili per sperare di avere la maggioranza ma che finora, contrariamente alle previsioni di Bettini, non si sono “palesati”. È chiaro che questi si materializzeranno se e quando avranno in tasca le “contropartite” in termini di ministeri e sottosegretariati: e a occhio quella è gente che le trattative le sa fare. 

Certo, in campo resta anche l’ipotesi di un un recupero di Italia viva, tema che di fatto è un po’ esorcizzato dai capi del Pd ma che è possibile diventi a un certo punto della crisi il tema vero. 

Renzi assiste al bradisismo della coalizione che egli ha mandato all’aria, è soddisfatto della tenuta dei suoi e ritiene che i tentativi di sostituirlo con quello che si trova nei corridoi del Senato siano destinati a finire nel nulla.

Ed è probabile che voglia giocare da protagonista, forse con qualche mossa a sorpresa che posse mettere l’avvocato in difficoltà, giacché questo alla fine è il suo obiettivo politico.

Allo stato, quello che qualcuno già definisce il “lodo Franceschini” abbia qualche buona chance. Di cosa si tratta? Di un Conte ter con dentro Italia viva. La differenza sostanziale con il governo che oggi esce di scena è duplice: una squadra molto diversa dall’attuale; e un premier che resterebbe a palazzo Chigi ma “guardato a vista” dagli alleati, impossibilitato nell’esercitare quel ruolo accentratore degli ultimi tempi. Basterà a Matteo Renzi? Perché gira gira è sempre lì che si finisce

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